Matteo Renzi ha vinto e chi potrebbe metterlo in dubbio; adesso però deve convincere, per usare una locuzione in voga nel giornalismo sportivo. Convincere chi? I resti del suo partito in primo luogo, ma soprattutto gli elettori. Da oggi torna di fatto segretario del Pd e potrà comportarsi in due modi opposti: plasmarlo a sua immagine e somiglianza trasformandolo davvero nel PdR, il Partito di Renzi, oppure sussumere (per ricorrere a un termine da filosofi) gli oppositori. Più in generale, riflettendo sulla sua parabola politica, in vista delle elezioni potrà dire: non ho capito perché ho perso il referendum; ho capito, ma avevo comunque ragione e a questo punto me ne infischio; oppure ho capito e correggo gli errori. Dalle prime dichiarazioni si intuisce che non ha ancora scelto.
Non ho capito, è naturalmente l’atteggiamento peggiore: tradisce un desiderio di rivincita (legittimo di per sé) che diventa pura vendetta e non porta frutti. Ho capito e me ne infischio, confina con il non aver capito nulla e impedisce di correggere gli errori. Quali? Per esempio, il giacobinismo avanguardista che ha portato Renzi a governare affidandosi a un piccolo nucleo di fedelissimi (il giglio magico) e tacciando di gufi e disfattisti tutti quelli che sollevavano dubbi oppure obiezioni. Ora ha fatto un bagno tra gli elettori in giro per l’Italia e può darsi che ciò lo abbia convinto ad adottare una diversa strategia. Vedremo presto se è così.
Un’analisi seria può avvenire solo partendo da riconoscimento di quel che non è riuscito. In politica economica molto non ha funzionato, ma non si può buttare tutta la colpa addosso a Pier Carlo Padoan che magari avrà le sue proprie responsabilità (per esempio, sulla crisi delle banche), però non ha mai fatto davvero di testa sua. Lo stesso vale con Carlo Calenda: Ilva o Alitalia non sono certo da addebitare dell’attuale ministro dello Sviluppo.
La polemica contro i tecnici è troppo grillina per essere vera. Meglio rifiutare questo tipo di propaganda a buon mercato. E ragionare seriamente sul perché nessuna riforma è andata davvero in porto. Il Jobs Act è stato una delusione finora anche perché viene applicato solo sui nuovi assunti: doveva essere una molla che scattava con la crescita del prodotto lordo, ma la mancata ripresa della congiuntura ha ridotto le nuove assunzioni. La “buona scuola” non è decollata al di là delle reazioni corporative di insegnanti e impiegati. Quanto alla Pubblica amministrazione è stata sabotata ancor prima che venisse varata. E potremmo continuare capitolo per capitolo. La colpa è senza dubbio dei lacci e lacciuoli che imbrigliano la società italiana, di una tendenza conservatrice esaltata dal clima di sfiducia nei confronti della classe dirigente, di tutto ciò che rimette in discussione i privilegi acquisiti, del futuro. Ma per essere onesti occorre ammettere che c’è stato un difetto di “governance” da far risalire a monte del processo decisionale.
Lo stesso vale per l’Europa. Così com’è non va. Ormai lo dicono tutti, anche un super europeista come Emmanuel Macron. Ma che vuol dire? Ci vuole più unione, quindi meno sovranità nazionale? O bisogna riprendersi funzioni e poteri delegati a Bruxelles? Vogliamo un cammino accelerato verso una federazione oppure una confederazione sul modello svizzero? Sarebbe corretto spiegarlo.
Soprattutto, Renzi deve chiarire la questione delle alleanze. Ha detto no a Silvio Berlusconi, ma pensa davvero di poter conquistare il 40%, e per di più in entrambe le camere? Con il ritorno al proporzionale si va dritti dritti verso una alternativa tra ingovernabilità o coalizione più o meno grande. È questa del resto la linea che si sta seguendo in tutta Europa sia pure in forme diverse, per contrastare il populismo. Persino un sistema elettorale maggioritario come quello francese alla fine della fiera si regge su alleanze: né Macron, né Marine Le Pen possono vincere da soli, tanto meno potranno governare in splendida solitudine; molto probabilmente verrà fuori una Assemblea nazionale frastagliata, priva maggioranze chiare. Dunque, sarebbe onesto essere chiari per non seguire “il vecchio modo di far politica”.
Renzi tutto ciò lo capisce bene, anche per questo è improbabile che voglia far cadere il governo Gentiloni: andare alle elezioni non avendo consolidato una piattaforma politica e le condizioni per realizzarla significa condannarsi alla sconfitta. E queste condizioni non ci sono, il segretario del Pd lo comprende. Renzi non è uno sciocco, come sappiamo, ed è un combattente tenace. Ma commetterebbe un errore fatale se si facesse prendere dalla fregola di regolare i conti con i suoi avversari senza aver raccolto le truppe per sconfiggerli in campo aperto.