La Grecia tiene ancora euro e mercati col fiato sospeso. Un’altra giornata di fallimenti nelle trattative per formare il governo sta spingendo Atene verso una nuova tornata elettorale a giugno e crescono i rumors su una sua uscita dall’Eurozona. Piazza Affari, che fino a metà pomeriggio navigava in zona parità, ha quindi chiuso con un calo del 2,56%, anche a causa del downgrade subito da 26 banche italiane da parte di Moody’s e delle stime sul Pil dei primi tre mesi dell’anno, visto in ribasso dello 0,8% rispetto al precedente trimestre e dell’1,3% in un anno. Lo spread tra Btp e Bund ha invece raggiunto quota 440 punti base. «L’Europa – è il commento dell’economista Marco Fortis, Vicepresidente della Fondazione Edison – sta mostrando ancora una volta tutta la sua debolezza. Prima era stato aperto il vaso di Pandora annunciando che uno Stato sovrano poteva fallire, ora si arriva addirittura a dire che un Paese può uscire dall’euro. Cos’è a questo punto l’euro? Una moneta in balia delle “follie” dei mercati e delle decisioni dei paesi più forti?».
Cosa pensa dell’ipotesi di una Grecia fuori dall’euro?
Sarebbe una catastrofe, perché farebbe vacillare una delle poche certezze (l’euro) che oggi ci restano come riferimento. Tutta questa situazione, va detto, è stata determinata da un’incapacità a gestire la crisi che ha nomi e cognomi: Nicolas Sarkozy e Angela Merkel. La Francia ha cambiato il suo leader, mentre non credo che la sconfitta in Nord Reno-Vestfalia abbiano messo in difficoltà la Merkel, nonostante quel che si dice.
Angela Merkel ha ricevuto ieri Francois Hollande. Pensa che il nuovo presidente francese possa far cambiare linea di indirizzo al direttorio franco-tedesco?
Penso che Hollande abbia riempito di aspettative il canestro, ma quello che riuscirà a portare a casa sarà solo una piccola parte di quanto annunciato durante la campagna elettorale. La Germania continua ad avere i suoi vantaggi da questa situazione: stando dentro l’euro ha un cambio col dollaro intorno all’1,3, mentre se stesse fuori lo avrebbe al 2-2,5, con ovvi riflessi negativi sul suo export. Tuttavia, Berlino non vuole assumersi la responsabilità di essere guida di un continente, che vuol dire anche partecipare alle fatiche dello stare insieme, anzi…
Cosa intende dire?
Tutti continuiamo a usare come riferimento il parametro debito/Pil, mentre bisognerebbe misurare il debito di un Paese rispetto al patrimonio che ha, cioè alla ricchezza privata. Non facendolo stiamo dando adito ai mercati ad attaccare ingiustamente determinati paesi, come l’Italia. Questo scenario non fa così male alla Germania come agli altri, perché Berlino è in grado di drenare le risorse che “fuggono” dai paesi in difficoltà. L’Europa non sembra purtroppo in condizioni di presentare una proposta di revisione dei parametri di sostenibilità del debito che porterebbero a uno scenario diverso. Per fare un esempio, il rapporto sulle finanze pubbliche nell’Unione monetaria europea pubblicato dalla Commissione Ue nel 2011, dice che Italia ed Estonia hanno l’indice più alto di sostenibilità del debito a lungo termine.
Purtroppo i dati che arrivano sul nostro Paese sono di tutt’altro segno, come quelli diffusi ieri sull’andamento del Pil nel primo trimestre dell’anno.
L’Italia sta decrescendo perché ha messo in atto una politica in ossequio al rispetto dei parametri fiscali, decisi soprattutto dalla Germania in ambito europeo, che va al di là delle nostre esigenze. È chiaro che Monti, come prima stava facendo Tremonti, deve rispettare tali parametri. È altresì evidente che certe riforme dobbiamo farle, ma coi nostri ritmi, non con quelli dettati da questa visione rigorista che a Berlino fa anche comodo. Finché ha paesi attorno che continuano a fallire il raggiungimento degli obiettivi, ci saranno capitali in fuga che finiscono in Germania.
Sembriamo stretti tra due fuochi: i mercati che leggono parametri “inadeguati” e la Germania che persegue i suoi interessi a danno degli altri paesi europei. Come se ne esce?
Intendiamoci, sui mercati le operazioni sono in gran parte telematiche e “automatiche”: le informazioni che arrivano vengono lette in base a una serie di indicatori e parametri prefissati. Se l’Europa facesse “squadra”, potrebbe fare un gran battage sulla propria reale situazione finanziaria pubblica e privata, andando oltre il parametro debito/Pil che sembra essere così decisivo. Ci sarebbe una grande convergenza di interessi, specie di Francia, Germania e Italia, che avrebbero i conti messi meglio di altri paesi, Usa in testa. L’Europa dovrebbe farlo sapere, ma alla Germania non conviene: dovrebbe rinunciare a troppi vantaggi derivanti dalla situazione attuale. Va detto che c’è anche una certa abilità di chi sta fuori dall’Europa.
In che senso?
Siamo partiti dal crollo di Lehman Brothers, ma sulla carta erano fallite altre 3-4 grandi banche americane. In Gran Bretagna, poi, si è arrivati alla nazionalizzazione di Royal Bank of Scotland. Oggi ci si è già dimenticati di questo, si parla solo della Grecia, dell’Eurozona, che sembra diventato il “buco nero” della galassia finanziaria internazionale. È stata una grande operazione di comunicazione su cui la finanza anglosassone ha fatto guadagni e anche disastri, come si è visto nel recente caso di JP Morgan. Nel frattempo l’Europa ha fatto un harakiri di dimensioni cosmiche. E così gli Usa hanno tappato le loro falle in parte stampando dollari, in parte con le risorse “fuggite” dall’Europa.
Cosa dovrebbe fare a questo punto l’Italia?
L’Italia avrebbe bisogno di darsi una scrollata: non dovrebbe smettere con il rigore, ma costringere anche gli altri a farlo. Se lo facciamo solo noi finiamo “cornuti e mazziati”. I francesi l’hanno fatto fare agli altri, ma hanno cambiato presidente pur di non farlo. E i tedeschi lo fanno con tassi di interesse bassi, grazie alle risorse drenate dai paesi del Sud Europa. Siamo in uno scenario kafkiano, dove anche gli economisti brancolano nel buio, utilizzando vecchi parametri. Nel frattempo sui mercati c’è una guerra che si combatte con gas e napalm.
(Lorenzo Torrisi)