Intercettazioni e complotti, complotti e intercettazioni. Da 25 anni la discesa in campo, per fare politica e conquistare il potere, di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri reca questo sigillo.
A renderlo incredibile è ogni volta il fatto che il rito si svolga a ridosso delle elezioni. Per di più quando una sinistra ridotta in frantumi rischia di dover passare il bastone di comando ad un centro-destra che sotto la guida di Berlusconi sembra potersi unire e vincere.
Questa dovrebbe essere una ragione sufficiente per indurre magistrati a non avviare indagini e dibattimenti prima di marzo, quando gli italiani saranno chiamati, dopo molti anni, a provare, con molte difficoltà, ad eleggere un governo.
La seconda ragione è che nel 1996 e nel 2011 le Procure di Firenze e di Caltanissetta hanno indagato per concorso in strage Berlusconi e Dell’Utri.
Il giudice di Firenze ha rilevato che i due personaggi avevano “intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il progetto stragista”. Infatti, a carico di Dell’Utri ci sono sentenze della Cassazione che lo indicano fin dal 1974 come un emissario, oltre che un antico sodale di scuola, dei corleonesi. Ma per i crimini di cui sono seminate le stragi successive al 1992 è scattata l’assoluzione. Perciò in carcere sta scontando una condanna.
Per quanto concerne Berlusconi, negli anni Settanta e Ottanta aveva stabilito con Cosa nostra una sorta di assicurazione contro possibili rapimenti e attentati alla propria vita e a quelle dei suoi congiunti, a Milano, e a protezione dei ripetitori televisivi in Sicilia. Questa sorta di rete protettiva è stata pagata a colpi di centinaia di milioni all’anno.
Niente che non sia risaputo, dunque, e che non sia stato archiviato.
Che cosa c’è di nuovo sui mandanti occulti delle stragi del 1993? C’è un artefice di esse come Giuseppe Graviano che in circa 5mila pagine di intercettazioni fa proclami, esige ricompense, minaccia di svelare confidenze e scambi di favori con gli esponenti di Forza Italia. Ma il boss si è avvalso della facoltà di non rispondere quando i giudici, al processo di Palermo, gli hanno chiesto una testimonianza diretta.
L’impressione è che ci sia una sola cosa di nuovo, il pericolo che si ripeta un miracolo, cioè la resurrezione di un uomo politico che già una volta ha illuso il paese di farlo rinascere.
Bisogna rassegnarsi a riuscire a batterlo con i voti e con una pessima legge elettorale. E non alimentando il vizio delle congiure che ha infettato gran parte della nostra storiografia sull’Italia contemporanea.
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Salvatore Sechi è autore de “Dopo Falcone e Borsellino, perché lo Stato trattò con la mafia? Sul documento inabissato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie”, Goware 2017.