“Per la presidenza del Senato mi auguro una personalità in grado di rappresentare l’assemblea tutta nelle sue espressioni, la vita del Parlamento nasce e si consolida su un principio: il rispetto della maggioranza e l’eguale dignità per chi sta all’opposizione. Al governo ci va chi vince ma nel Parlamento tutti abbiamo diritto di cittadinanza analoga e l’importante è che il presidente del Senato esprima questo sentire collettivo, lo faccia veramente sentire a tutti i parlamentari indipendentemente dalla loro collocazione”. Così il senatore del Pd Pierferdinando Casini, parlando con i giornalisti in Senato.
Un ritratto fatto su misura di se stesso. Casini non si smentisce. E si acconcia nel ruolo di suggeritore di Di Maio e Salvini dopo averlo fatto, ovviamente pro domo sua, per Berlusconi e Renzi. Sua è infatti la trovata del no a indagati e condannati sullo scranno più alto di Palazzo Madama, cui sembrano appellarsi all’unisono i due capi politici primi nel consenso degli italiani. Trovata con la quale Salvini utilizza la sponda del leader grillino per far fuori la prima scelta di Forza Italia, Paolo Romani, ma anche lo scomodo Calderoli, inviso al Matteo in camicia verde, fuori gioco per gli insulti razzisti alla Kienge.
Casini telefona, contatta, invia messi al Quirinale. Confabula con Napolitano a cui ha chiesto la copertura dei senatori a vita. A Mattarella ha fatto sapere che considera il suo appoggio un risarcimento per aver ceduto il passo sulla presidenza della Repubblica quando aveva convinto Berlusconi ad appoggiarlo. Ma non Renzi.
Il Senato della Repubblica: con il senatore Matteo Renzi imbronciato e dispotico, non pago di aver disintegrato il Pd e che vuole la rivincita sul Senato che lo ha irriso dopo l’affondamento della sua risibile riforma costituzionale. Per questo si è autonominato senatore. E per questo medita lo sberleffo che renderebbe plastica la sua ormai antica critica sull’inutilità del Senato: eleggere Pierferdinando Casini, paradigma della politica intesa come comunicato stampa.