L’antipolitica sembra in questa fase della nostra storia la parola chiave per rappresentare le ragioni diffuse della crisi del nostro sistema politico. Ogni giorno da qualche parte si discute dell’incapacità dei partiti attuali di autoriformarsi per cercare di corrispondere adeguatamente ai mutamenti della nostra epoca. Si sottolinea il progressivo disinteresse degli elettori e il minaccioso aumento dell’astensione dal voto.
In questo scenario da ultimo si è inserito lo straordinario successo del M5S che attacca l’intero sistema dei partiti e ne auspica la scomparsa in una società restituita finalmente alla propria originaria “liquidità”. All’ondata dei contestatori radicali di Grillo si aggiunge la penetrazione nel mondo giovanile di una filosofia anarcoide che si propone di fare esplodere il sistema utilizzando tutte le crepe che si formano negli interstizi.
È tuttavia paradossale che per uscire da questa situazione si proponga una linea sempre più forte e variamente sostenuta di riproposizione di Mario Monti alla guida di un governo assai simile all’attuale, e cioè qualificato come tecnico perché libero di agire fuori da ogni ricatto dei partiti.
Io non so quanti si siano resi conto che, al di là dei meriti o demeriti dell’attuale governo, stiamo vivendo ormai da mesi in uno stato di vera e propria sospensione della democrazia in cui il popolo – che sia pure nelle forme previste dalla legge dovrebbe essere il titolare ultimo di ogni potere decisionale – è in realtà ridotto a un insieme di gruppuscoli frantumati che lottano per i propri interessi particolari.
Penso che questa rappresentazione che ho così sommariamente riassunto e che attribuisce principalmente agli stessi attori politici la causa del loro declino inarrestabile sia una falsificazione della realtà. Sono convinto, al contrario, che l’antipolitica è una strategia perseguita dalle classi dominanti e dall’establishment intellettuale, economico e sociale dei Paesi occidentali dopo la caduta del Muro, nata dalla necessità di inaugurare un nuovo ciclo del capitalismo in cui i ceti popolari e le parti più deboli della società avessero sempre meno peso nella distribuzione della ricchezza. Sarebbe il caso di approfondire come, subito dopo la caduta del Muro, in Europa si è diffusa una visione neoliberista tutta tesa a lasciare il campo al mercato e a stimolare una visione ultraindividualista che riportava le logiche profonde dell’edonismo reganiano.
Nell’offensiva neoliberista trionfa appunto l’individuo “senza qualità”. Si proclama la fine della storia e di ogni ideologia, mentre di fatto si introduce nella psicologia di massa una ideologia più subdola e più apparentemente dissimulata che è quella che assegna a ciascun individuo il compito di realizzarsi nella competizione selvaggia con chiunque altro incontra nel lavoro e nella vita, e che pone il denaro come unica meta da conquistare attraverso la propria attività.
La logica economica, che rende i Paesi responsabili dei propri debiti di fronte al mercato e alle grandi istituzioni finanziarie che fanno il bello e il cattivo tempo sulla credibilità delle economie nazionali, si è imposta sino a rendere praticamente impossibili politiche economiche che non fossero una pura applicazione delle direttive delle tecnostrutture chiamate a governare il mondo.
Tutte le autorità sovranazionali che decidono concretamente del nostro destino, dalla Bce alla Commissione e al Fmi, non hanno alcun vincolo esterno che autorizzi almeno a discuterne le conclusioni. Sono autolegittimate, autoreferenti e prive di ogni parvenza di legittimazione democratica, e tuttavia il sistema mediatico italiano in ogni occasione ribadisce con toni catastrofici che se non si seguono le direttive comunitarie e quelle del Fmi, si rischia di piombare nella miseria e nella disperazione del popolo greco, additato come l’emblema dell’inefficienza della politica.
Nonostante le dichiarazioni degli esponenti del Pd, non è chiaro neppure oggi se si vuole andare davvero a un riscatto della politica nei confronti del primato dell’economia e della tecnocrazia. La nascita di movimenti di puro sostegno al governo Monti e un partito come quello di Casini, che ha come programma la continuità e l’applicazione della cosiddetta agenda Monti, riducono tragicamente lo spazio politico entro cui avverranno le prossime elezioni nazionali.
Come alcuni commentatori fuori dal coro hanno denunciato, il governo dei tecnici di Monti è stato tutt’altro che tecnico e ha contribuito ad accentuare le disuguaglianze sociali del nostro Paese. Presentarlo adesso come una necessità che non lascia alternative significa praticare di fatto la più potente antipolitica che si possa immaginare. L’idea che lo sfascio del cosiddetto sistema politico richieda di ridurre le elezioni a una pantomima per rendere necessario il reincarico di Monti è uno sfregio alla democrazia più grave e più pesante di quello che rappresenta la linea puramente protestataria dei movimenti che si sviluppano fuori dal sistema tradizionale.
L’antipolitica dei movimenti è alimentata direttamente dall’antipolitica delle classi dirigenti che tendono a rappresentare il popolo come una massa di ignoranti e di incapaci. Invece, la politica è stata cioè sin dall’origine uno spazio in cui classi e categorie sociali differenti hanno trovato nella discussione pubblica un punto trasparente di compromesso e di equilibrio. La tecnocrazia è il contrario di questa ispirazione originaria, giacché tende a consegnare tutto il potere a un piccolo settore della società che detiene la maggior parte della ricchezza e che ottusamente pensa di poter fare a meno della partecipazione attiva del demos.
Per questo è necessario che ciò che ancora appare come uno strumento di partecipazione, sia utilizzato come occasione per condizionare tutte le fasi successive che porteranno alle elezioni generali. Nel tentativo di introdurre alcune innovazioni nel funzionamento dei partiti, le primarie possono essere infatti un utile strumento di mobilitazione. Tutto ciò che porta gli italiani a discutere di politica e che attribuisce poteri di scelta a ciascun cittadino è certamente la strada da seguire per uscire dalla palude in cui ci troviamo.