I riflettori ieri erano tutti puntati sul centrodestra, sul vertice fra i tre leader per decidere la strategia in vista della giornata di domani, quando si riuniranno le Camere e si comincerà a votare per presidenti, vice e uffici di presidenza. Il risultato del braccio di ferro è una proposta che oggi verrà sottoposta agli altri partiti: Montecitorio ai 5 Stelle, Palazzo Madama a Forza Italia, coalizione unita, la Lega di Matteo Salvini ottiene la candidatura a governatore del Friuli Venezia Giulia per il triestino Massimiliano Fedriga, 38 anni, capogruppo uscente alla Camera.
Il significato della scelta di Salvini è chiaro: da un lato il segretario dell’ex Carroccio ha preso atto che non può fare quello che gli azzurri hanno chiamato l'”asso pigliatutto”, cioè prendere la guida del Senato e puntare anche a Palazzo Chigi lasciando agli alleati soltanto le briciole; ma dall’altro scommette sul fatto che quella che ufficialmente si apre domani sarà una legislatura breve, e quindi meglio assicurarsi una poltrona per cinque anni che salda l’asse dei governatori leghisti del Nord in Lombardia e Veneto (e con il governatore azzurro e cripto-leghista che è Giovanni Toti in Liguria) piuttosto che barcamenarsi per un annetto sulla poltrona che è stata di Pietro Grasso.
I nomi al momento passano in secondo piano; i tre leader dicono che prima si deve mettere a punto lo schema. Di certo, Paolo Romani non è un candidato di bandiera per gli azzurri, un nome messo sul tavolo per guadagnare tempo e tirare fuori all’ultimo la carta coperta. Silvio Berlusconi vuole al Senato il suo ex ministro delle Comunicazioni nonostante la vicenda giudiziaria che lo coinvolge e gli è costata una condanna in primo grado. Di rincalzo si parla di Maurizio Gasparri, Annamaria Bernini ed Elisabetta Casellati, forse la vera alternativa a Romani: avvocato, parlamentare di lungo corso, persona mai chiacchierata reduce da un’apprezzata esperienza come membro laico del Csm.
Il fatto che l’attenzione sia stata calamitata a destra ha lasciato tempo ai grillini per riflettere. Il loro nome per Montecitorio sarebbe quello di Roberto Fico. Ma il vero nodo da sciogliere è un altro: accetteranno di sedersi al tavolo della trattativa con il Caimano? Molleranno uno schiaffone al loro vero ideologo occulto, cioè Marco Travaglio? O ripeteranno lo schema di cinque anni fa, quando imposero lo streaming a Pierluigi Bersani per poi impallinarlo? La mossa del centrodestra sembra fatta per vedere se i 5 Stelle decidono di giocare davvero la partita oppure puntano sul bluff. Finora Luigi Di Maio ha tenuto un canale di comunicazione aperto soltanto con Salvini, un po’ perché è l’altro vincitore del 4 marzo, un po’ sperando di spaccare il centrodestra. Ma la Lega non ha rotto la coalizione.
Il dado a destra è tratto e le posizioni delineate. Berlusconi ha dato corda a Salvini per guadagnare tempo, non vuole restare tagliato fuori (restando ai margini come il Pd) perché ha bisogno di tempo per fare depositare il polverone alzato dalla tempesta populista e non può dare via libera a un governo di scopo M5s-Lega che cambi la legge elettorale a loro uso e consumo per tornare al voto tra un anno. Salvini punta alla premiership per la Lega; se non ce la fa lui, toccherà a Giancarlo Giorgetti. Di Maio al momento resta un’incognita: trattare con “il pregiudicato” rischiando la rivoluzione tra i propri elettori o rinunciare ancora a prendersi responsabilità.