Caro Beppe Sala, mi rivolgo a lei, che ho votato l’altroieri e che con ogni probabilità rivoterò tra due settimane.
Vorrei fare una considerazione semplice semplice a proposito della sua risicatissima vittoria su Parisi di domenica scorsa. La considerazione è questa: caro Sala, non è stata affatto una vittoria, e anche se io mi auguro che lei diventi il sindaco di questa città, sono persuaso che lei, milanese, abbia commesso un gravissimo errore nei confronti di una cittadinanza speciale, sui generis, che un sindaco ha il dovere di cercare di comprendere.
Gli errori in realtà sono almeno due.
Il primo è stato quello di avere paura di Parisi. Vedendo che i sondaggi gli erano favorevoli, ha cercato affannosamente un accordo con i vecchi avversari delle primarie, Majorino e i balzaniani, scaricando tutto un credito che, grazie ad Expo, lei aveva conquistato presso un vasto ambiente laico, liberal e cattolico di sponda un tempo opposta.
Ha avuto paura di essere tradito da quattro gatti che, però — a differenza di lei, me lo permetta — sanno qualcosa di politica. Ha sposato un mondo che non è il suo, mi permetta: e questo ai milanesi non piace.
Ne è uscita una specie di fotocopia del modello-Pisapia, con la differenza che Pisapia, pur con tutti i suoi difetti, è un uomo che ama e ha sempre amato Milano di un amore profondo: e queste sono cose che una città intelligente e sensibile come Milano capisce bene.
Il secondo errore è stato quello di affidarsi a un calcolo (peraltro sbagliatissimo) basato sui numeri, altra cosa che i milanesi — che tra l’altro sono esperti di numeri — non apprezzano molto. Perché oltre ai numeri ci vuole la passione, ci vuole il coraggio di portare fono in fondo le proprie idee, ci vuole quel tipo di astuzia (che nasce solo dalla franchezza) che rende capaci di scegliersi gli uomini giusti.
Io ho apprezzato la giunta Pisapia (o meglio Pisapia-De Cesaris), ho apprezzato alcuni personaggi di alto profilo che hanno prestato in questa giunta il proprio servizio, un nome su tutti: Filippo Del Corno. Ma quello era un progetto nato su certe idee, assai diverse da quelle da cui lei era partito, nelle quali Pisapia e compagni credevano.
Per questo Letizia Moratti, che forse pensava di rivincere a mani basse, fu sconfitta amaramente. Nessuno deve pensare di avere in mano questa città. Lo spiegava già Bonvesin de la Riva nel 1288: “La libertà di cui questa città è per natura dotata è tanto grande, e tanto forte è la protezione dei santi che qui hanno sepoltura, che non vi è dominio di tiranno straniero che possa occuparla a lungo, se non nel consenso dei cittadini; e ben lo si è visto ai nostri giorni. Nessun tiranno osi dunque preparare qui una sede per il proprio dominio: scoprirà quanto sia viscida la coda di questa anguilla”.
Lei non è certo un tiranno, e nemmeno straniero, però può capitare anche a un milanese moderato di incorrere nello stesso errore. Con la sua cattiva campagna acquisti & cessioni, lei ha consegnato a Forza Italia un 20% insperato, a fronte delle misere percentuali del resto del Paese.
Non sono stati i leghisti a ottenere a Parisi questo consenso, ma tutta quell’area liberal, progressista e imprenditoriale, europeista e moderata, che con l’Expo lei aveva conquistato. Non è stata una vittoria di Salvini e nemmeno un rigurgito del berlusconismo, ma di un uomo accorto come Parisi, che ha fatto quel lavoro che lei, viceversa, non ha fatto.
Adesso mancano pochi giorni alla resa dei conti. Dia retta a me, non continui a frugare nella dispensa vuota di una sinistra vecchia anche se abile, e torni a cercare (cosa che da un certo punto in poi non ha più fatto) un rapporto serio con le forze più innovative, più fresche e meno ideologizzate di questa straordinaria città.
Si dia da fare, caro Sala: il tempo è poco e Parisi è molto in gamba.