È pericolosissimo se non criminale parlare di “democrazia diretta”, come ha fatto l’onorevole Luigi Di Maio del Movimento 5 Stelle nella sua recente conferenza a Harvard, negli Stati Uniti.
Quella della “democrazia diretta” è stata la formula che ha mascherato i più orribili totalitarismi del 20esimo secolo. Questi, non a caso, si chiamavano “democrazie popolari”, contro quelle moderne che sono democrazie rappresentative. L’idea che i ministri possano essere scelti dal “popolo” della “rete” è stalinismo in tempi di internet. Per ora potrebbe essere “semplicemente” una stupida o colpevole trovata pubblicitaria, domani molto peggio.
Il problema è però che solo il M5s affronta di petto il problema cruciale dell’Italia, ovvero la mancanza di ogni prospettiva futura e la crisi di rappresentanza democratica del paese e dell’Europa. Questo fu il merito di alcuni dei partiti di massa del secolo scorso: erano gli unici che affrontavano i drammatici problemi del momento, mentre gli altri partiti si limitavano a fare quasi finta che tali problemi non esistessero.
Nella drammaticità del momento risposte drammatiche, o melodrammatiche, sembrano, sono sentite come giuste. Il problema è che oltre al dramma passionale per la situazione italiana occorrerebbe raziocinio e risposte ponderate. Queste non arrivano dal M5s, che però sente il senso dell’urgenza.
Altri partiti danno risposte ponderate, forse ragionevoli, siano esse condivisibili o meno. Ma non hanno il dramma, o sono macchiati dalla colpa di avere governato, ed essere così responsabili, in parte o in toto, del disastro attuale. In questa spaccatura verticale tra sentimentalismo populista e raziocinio invertebrato, l’Italia rischia di fare un altro passo verso il baratro.