Sergio Mattarella ha congelato le dimissioni di Renzi: il capo dello Stato intende scongiurare l’esercizio provvisorio e accettare le dimissioni del premier solo dopo l’approvazione della legge di bilancio, che potrebbe arrivare già questo venerdì. Ma non è solo la delicatezza del passaggio istituzionale ad agitare la politica italiana: la sconfitta di Renzi infatti riapre i giochi anche all’interno del Pd. Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità e già parlamentare dei Ds, conosce molto bene il Partito democratico e le sue anime.
Doveva esserci la direzione oggi, poi è slittata a venerdì, infine si farà domani, mercoledì. Caldarola, cosa sta succedendo all’interno del Pd?
C’è gran fermento ed è comprensibile. Ma non escludo un’autorevole e discreta pressione del Quirinale per evitare, oltre la caduta del governo, anche una crisi verticale del partito di maggioranza relativa.
Cosa potrebbe essere accaduto?
Tutto lascia pensare che Renzi senta verso i militanti e gli elettori del Pd la stessa responsabilità che ha avvertito come premier: vi ho portato in battaglia, ho perso, vado via.
E Mattarella?
Non è tranquillo al pensiero che la crisi di governo sia di difficile soluzione perché vi si aggiunge una crisi di leadership all’interno del Pd.
Va a finire che Renzi vorrebbe andarsene, ma qualcuno gli chiede di restare.
Diciamo che potrebbero esserci diverse resistenze. Non solo. Potrebbero essere anche di opposto orientamento.
Vediamo di capire.
I suoi oppositori, da D’Alema a Bersani, non sono pronti a indicare un nome per la segreteria. Non perché non vi sia alcuno in grado di farlo: Speranza, Rossi, Zingaretti, Emiliano sarebbero tutti ottimi candidati, ma io credo che la sinistra Pd in questo momento non voglia affatto una crisi immediata della segreteria. Le ultime dichiarazioni di D’Alema rivolte a Renzi sono molto dure, ma si possono leggere anche come l’invito a non avere pericolosi colpi di testa.
Troverebbero una conferma nelle strane parole di D’Alema prima del voto, e cioè che sarebbe toccato a lui, in caso di vittoria del No, proteggere Renzi. Il suo peggior nemico!
D’Alema è così. Se vince, non cerca l’umiliazione dell’avversario. Imputa a Renzi i difetti che sappiamo, ma è anche convinto che sia un politico di qualità. Il fatto è che D’Alema, malgrado dica il contrario, non ha in mano il nome di un segretario da poter portare a primarie e a congresso nell’arco di poche settimane.
Tutto questo a sinistra di Renzi. E vicino a lui?
Chi sta sta cercando di fermare Renzi è certamente il giglio magico. Se Renzi si ritirasse sull’Aventino per sei mesi o un anno, Lotti, Carrai, la Boschi più altri quattro o cinque politicamente non esisterebbero più e anzi sarebbero esposti alla vendetta dei nuovi vincitori, che potrebbero voler recuperare un rapporto con Renzi ma non voler fare “prigionieri”.
Dunque abbiamo due gruppi che da opposte posizioni si trovano a volere la stessa cosa. E Renzi? che cosa potrebbe avere in mente?
Anche lui potrebbe avere interesse a sfilarsi dalla segreteria. Così facendo lascerebbe al suo successore il testimone nello scontro finale con M5s. Sarebbe il nuovo segretario del Pd a perdere contro Grillo. In questo modo Renzi tra qualche tempo potrebbe rientrare in campo.
Dopotutto è il suo stile: scagliare la palla contro gli avversari quando non è in condizione di giocarla. E la base?
Nella base le ferite sono molto profonde. Innanzitutto quella dei militanti che hanno seguito Renzi, e sono la stragrande maggioranza dell’elettorato Pd. Per molti di loro Renzi sarà forse un generale troppo avventuroso, ma ora sanno che il loro leader è stato fucilato sul campo da un pezzo di partito, lo stesso che ha votato No. Per essere chiari: è un mondo in cui D’Alema e Bersani non sono ben visti.
A proposito di Bersani. Che carte ha da giocare?
Nessuna. D’Alema ha fantasia politica, spregiudicatezza e ottime relazioni politiche: parla con Verdini, con Gianni Letta e probabilmente anche con il mondo di Grillo. Massimo usa un’arma collaudata: offre sempre allo sconfitto una proposta anche se con Renzi, questa volta, potrebbe non funzionare. E’ l’unico personaggio di quell’area che può fare autorevolmente politica. Bersani non ha questa capacità, purtroppo. O per fortuna.
C’è un nome che ritorna e che sembra in grado di mettere insieme partito e istituzioni: Franceschini.
Franceschini si sta dando molto da fare a tutto campo, guida un’ottantina di parlamentari coesi, può aspirare a far blocco con Delrio. Ma ha un handicap molto serio.
Quale?
Sergio Mattarella sarebbe il secondo capo dello Stato ad indicare una terza personalità del Pd dopo Letta e Renzi. Poiché la maggioranza del Pd non basta a fare un governo, ci vogliono i voti di Berlusconi. Berlusconi accetterà di sostenere un politico del Partito democratico? Mattarella potrebbe cercare piuttosto una personalità legata al Pd. Non è una sfumatura.
Circolano i nomi di Pietro Grasso e Pier Carlo Padoan.
Ci sarebbe anche l’incognita di come Franceschini viene visto da Bersani e D’Alema. E’ probabile che entrambi preferiscano Padoan, che non pregiudicherebbe la battaglia congressuale perché non ha aspirazioni politiche.
Qualcuno obietterà che Padoan è una continuazione mascherata del governo Renzi.
Sì, ma è anche il ministro dell’Economia di un paese che l’anno prossimo ospita le celebrazioni per la nascita dell’Europa unita, e che ospiterà il G7 a Taormina. Una figura internazionale e istituzionale che può fare bene la sua parte.
Padoan viene da Italianieuropei, la fondazione di D’Alema…
Sì. E il loro rapporto non si è mai interrotto.
(Federico Ferraù)