Venerdì o lunedì prossimo: ecco le nuove date di deadline per risolvere la crisi greca, mentre l’Unione europea starebbe lavorando a un secondo pacchetto di salvataggio per il Paese che il mese prossimo necessita dello sblocco dei fondi della quinta tranche, pena il default vero e proprio.
Il Fondo monetario internazionale, ora in mano Usa per la decapitazione di Dominque Strauss-Kahn, sembra infatti fermo nel non voler erogare i 12 miliardi di euro previsti per giugno in caso la Grecia non offra garanzie chiare sulle modalità con cui ripagherà il proprio debito nei prossimi dodici mesi.
Entro venerdì, infatti, i rappresentanti del Fmi e dell’Ue rilasceranno un rapporto sulla situazione del Paese ellenico e sugli sforzi per riportare il deficit sotto controllo, dopo le indiscrezioni della scorsa settimana in base alle quali il Governo socialista avrebbe fallito su tutta la linea nel raggiungere gli obiettivi fiscali concordati in sede di salvataggio. I rumors sul verdetto delle ispezioni internazionali in corso oscillano tra le ipotesi di un default accompagnato dall’uscita dall’euro e un piano bis di salvataggio, appunto, che seguirebbe il pacchetto di aiuti di 110 miliardi stanziati nella primavera del 2010.
Lo diceva chiaro e tondo ieri il Financial Times, secondo cui un nuovo accordo di aiuti prevederebbe anche incentivi ai creditori privati per alleviare l’onere del debito della Grecia su base volontaria. Senza citare le fonti, il quotidiano della City riportava che quasi la metà delle necessità di finanziamento, tra 60 e 70 miliardi di euro per i prossimi due anni, potrebbe essere coperta tramite la vendita di asset e modificando i termini di rimborso per i possessori del debito privato: iniezione di liquidità indispensabile per coprire i prestiti del governo in scadenza tra il 2012 e il 2013.
Ma c’è dell’altro: soggetti esterni alla sovranità greca, ovvero l’Ue e quindi i governi che la compongono, interverrebbero direttamente nell’operazione di raccolta fiscale della Grecia. Nei fatti un commissariamento di Atene, il primo passo di una possibilità perdita di controllo del potere esecutivo. Un precedente devastante, visto che in caso il piano di privatizzazione non andasse come desiderato dall’Ue – la Grecia straparla di 50 miliardi di euro in tre anni – potrebbe imporre al governo ellenico di vendere altro, ovvero anche assets che non intendeva cedere: la famosa e romanzata vendita della isole Cicladi, col passare dei giorni, sta tramutandosi in un’opzione non impossibile.
Ma c’è di peggio. E molto. Un giornale greco, infatti, nella sua edizione domenicale parlava chiaramente dell’intenzione del governo di dar vita a una bad bank sul modello spagnolo per ripulire i conti degli istituti controllati dallo Stato e in predicato di privatizzazione (ad esempio, Savings Post Bank) dai bonds tossici greci al fine di renderli maggiormente attraenti per potenziali acquirenti. Insomma, trattandosi di bonds sovrani, possiamo dire che Atene intende dividere se stessa, ovvero la Bad Greece dalla Good Greece. Insomma, una bella bad bank per detenere assets rischiosi gestita e di proprietà di una banca con garanzia statale, esattamente come accade per Bankia, il nuovo istituto nato dalla fusione di sette cajas, le casse di risparmio spagnole, pronto a dar vita a una simile “unità di stoccaggio” prima del collocamento sul mercato.
Possibilità di riuscita? 0%. Anche perché l’effetto domino da default è già iniziato e la prima metastasi, potenzialmente letale, si chiama Irlanda, Paese tremendamente esposto ai bond sovrani greci e con il sistema bancario ormai nazionalizzato. In un’intervista concessa domenica al Sunday Times, infatti, il ministro dei Trasporti irlandese, Loe Varadkar, ha candidamente ammesso che Dublino potrebbe necessitare di un altro “inaspettato” prestito dalla trojka Ue-Fmi visto che il Paese non è in grado di finanziarsi in altro modo. Boom!
«Penso che sia molto difficile che il mio Paese sia in grado di tornare sul mercato del finanziamento privato il prossimo anno. Potrebbe volerci un pochino di più, forse il 2013 potrebbe essere la data giusta, ma chi può saperlo?», queste le parole di Varadkar, il quale interrogato su quale potrebbe essere una soluzione possibile ha così risposto: «Questa situazione significa un secondo programma di prestito oppure un’estensione del programma già esistente. Penso che questo sia il punto di vista comune in Irlanda». Finlandesi e tedeschi saranno entusiasti di dover fornire eroina sottoforma di prestiti a babbo morto non più a tre paesi-tossicodipendenti ma cinque, visto che Grecia e Irlanda stanno battendo cassa per un secondo programma prima ancora che sia terminato il primo e abbiano ridato un solo centesimo.
E se, sempre ieri, il governatore della Banca centrale irlandese ha detto chiaro e tondo che le condizioni di mercato per il Paese sono molto peggiori oggi di quanto non lo fossero a novembre quando fu accordato il prestito, sono le cifre a parlare: a marzo il governo irlandese ha quantificato in 24 miliardi di euro la necessità di fondi per puntellare i bilanci delle banche, pur contando di poter racimolare 5 miliardi attraverso l’imposizione di perdite su detentori di obbligazioni junior e vendita di assets.
Panzane, visto che due mesi dopo un membro del nuovo governo dichiara al Sunday Times (scelta non casuale, visto il tasso di esposizione all’Irlanda delle banche britanniche) che serve un secondo programma di salvataggio: occorre chiarezza, ovvero Fmi e Ue dovrebbero vincolare lo sblocco di ogni singolo euro a una certificazione reale e trasparente della situazione bancaria di ogni Paese e dei conti statali. Altrimenti, si usino i soldi per puntellare le banche tedesche e francesi esposte – pena il domino in tutta l’eurozona – e si lascino quei Paesi al loro destino, default e uscita dall’euro in primis.
Insomma, per una volta le società di rating non decideranno la morte di un Paese, saranno i suoi creditori a farlo, Berlino in testa. E che l’aria di bancarotta stia circolando in maniera sempre più pesante lo certifica un dato reso noto da un quotidiano greco domenica, citando fonti bancarie: in due giorni della scorsa settimana, giovedì e venerdì, sono stati ritirati 1,5 miliardi di euro dagli istituti di credito ellenici, una cifra monstre se paragonata alla media del Paese di 2,4-3 miliardi di euro al mese.
E c’è di più: la maggior parte dei correntisti che si sono precipitati a ritirare contante sono stati pensionati e piccoli risparmiatori, per importi che vanno da 2-3mila fino a un massimo di 10-15mila euro. Insomma, persone normalissime mosse dalla paura della bancarotta sovrana, del congelamento dei depositi e del blocco, anche solo temporaneo, dei prelievi o, addirittura, di perdere del tutto i loro risparmi. Allarmismo eccessivo, forse, ma il fatto che in un Paese come l’Italia – che non è la Grecia e non ospita banche di tipo ellenico – sia stata avvertita la necessità di istituire un fondo ulteriore da 20 miliardi da affiancare al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, fa capire che i rischi ci sono e occorre stare davvero attenti e intervenire in fretta.
Come hanno fatto i correntisti greci, più scaltri del loro governo e della trojka Ue-Fmi: anche perché loro rischiano in proprio i loro risparmi, non giocano con i soldi del Monopoli di Francoforte che garantisce impunità e tutela a politici inetti e banche irresponsabili a spese nostre. Già, perché non so se lo sapete, ma a oggi i contribuenti italiani stanno fornendo 80 miliardi di euro, sottoforma di prestiti erogati dalle casse dello Stato italiano, a Grecia, Portogallo e Irlanda per garantire il pagamento di interessi e capitale dei loro titoli di Stato in scadenza. Soldi vostri, soldi miei, soldi nostri. Riflettete, perché non li rivedremo indietro mai.
P.S. Se i dati contenuti nell’articolo non vi paiono ancora sufficienti per essere preoccupati, ve ne offro un altro, fresco fresco: stando al quotidiano turco Hurriyet, la Cia avrebbe stilato un report nel quale si mette in guardia dal serio rischio di colpo di Stato militare in Grecia in caso le misure di austerity dovessero ulteriormente acuirsi. E il mercato, pragmatico come sempre, ha già prezzato il rischio di questa eventualità sull’euro/dollaro allo 0,01%. Fate pure, quindi, versione 2.0 dei Colonnelli…