Gli economisti italiani non ci stanno. Dopo mesi e mesi di gogna, hanno lanciato una controffensiva con lettere e appelli sui grandi giornali. Rivendicano il loro dovere di bacchettare i governi, proporre soluzioni, suggerire politiche, non solo analizzare il reale. Tacere mai, per carità; la libertà di parola è un inalienabile diritto degli uomini, anche di quelli che si dedicano alla più inesatta delle scienze. Altrettanto inalienabile è la libertà di critica. Perché, dunque, prender cappello? In modo molto diverso si sono comportati i luminari britannici della professione, tra i quali fior di nomi altisonanti.
Tutto comincia nel novembre 2008 quando, in pieno panico finanziario, Elisabetta II fa visita alla London School of Economics e chiede: «Come mai nessuno ha notato che una tale crisi stava arrivando?». Gelo, imbarazzo, silenzio. Poi il 17 giugno scorso, la British Academy organizza un forum proprio per discutere la questione posta dalla candida sovrana. Invita accademici, banchieri, finanzieri della City, regolatori, politici, giornalisti autorevoli (Samuel Brittan del Financial Times e William Keegan dell’Observer). Infine, i professori Tim Besley della LSE (membro del comitato monetario della Banca d’Inghilterra) e Peter Hennessy dell’Università di Londra firmano una lettera a nome di 33 personalità note in tutto il mondo.
“Dear Madam – esordisce la missiva inviata il 22 luglio a Buckingham Palace, ma rimasta sotto embargo fino al 27 – molti hanno preannunciato la crisi. Tuttavia l’esatta forma che avrebbe preso, il momento e la ferocia della sua manifestazione non sono stati previsti da nessuno”. Perché? Lo scritto ricorda che c’erano stati numerosi avvertimenti sugli squilibri macroeconomici e sul boom finanziario che non incorporava nel modo dovuto i rischi. Tuttavia, “la maggior parte era convinta che le banche sapessero quel che stavano facendo”, credeva che “i maghi della finanza avessero trovato nuovi e astuti modi di gestire i rischi”. Il giudizio è tranchant: “Una generazione di banchieri e finanzieri ha tradito se stessa e chi pensava che essi fossero i battistrada delle economie avanzate”. La cenere ricopre il capo di tutti coloro che avrebbero dovuto prevenire le bolle, ma ritenevano che fosse meglio lasciarle sgonfiare da sole e gestirne gli effetti. Senza capire che sarebbero esplose tutte insieme in una reazione a catena.
“Sembrava che ciascuno facesse bene il proprio lavoro”, eppure si sono accumulati “squilibri interconnessi sui quali nessuna singola autorità aveva giurisdizione”. Dunque, è una questione di regole? Non solo. C’è di mezzo “la psicologia del gregge” così come “il mantra di guru politici e finanziari che ha condotto a una pericolosa ricetta… In conclusione, Vostra Maestà, è stato soprattutto il fallimento dell’immaginazione collettiva di molte persone intelligenti”.
Chapeau. Non tutti gli economisti italiani si autoassolvono, sia chiaro. Luigi Spaventa, che pure ha firmato l’appello anti-Tremonti sulla Repubblica, ha riconosciuto pubblicamente le “responsabilità” della sua professione ammettendo che “pensare con occhi nuovi, con una certa umiltà e senza difendere posizioni di rendita potrà essere di grande beneficio”. E il bocconiano Roberto Perotti sul Sole 24 ore ha pubblicato un’ampia requisitoria elencando una per una le colpe nell’approccio teorico e nei comportamenti pratici. “La stragrande maggioranza era totalmente all’oscuro di alcuni fondamentali sviluppi del mercato creditizio”, scrive. Non solo: “Gli economisti hanno giocato troppo facilmente allo scaricabarile con politici e regolatori… pochi hanno avuto il coraggio di sporcarsi le mani dicendo esattamente quale regolamentazione si sarebbe dovuta imporre”.
D’accordo. Non si tratta di pretendere autodafé. Ma una crisi sistemica come questa è un laboratorio formidabile che capita una volta in una generazione. Chi non ha il coraggio di lavare i propri vecchi strumenti in un bagno di realtà, è meglio che chieda un onorevole scivolo verso la pensione. Anziché rimpallarsi accuse e ripicche, non è meglio seguire l’esempio britannico e mettere qualche punto fermo anche nella premiata scuola italiana di economia?