Dire che questa sia una “crisi al buio” è quasi un eufemismo. Siamo di fronte, in realtà, a un pandemonio politico che è difficile da districare e ancora più difficile da risolvere. Si dirà che vista in questo modo, prevale una valutazione negativa, che si guarda al bicchiere “mezzo vuoto” e che non si affrontano i problemi con il giusto sguardo positivo. Ieri sera ad esempio, il giovane direttore di Repubblica, Mario Calabresi, dava una lezione ai pessimisti, negando in televisione che ci si trovasse, appunto, di fronte a una crisi al buio. Non si dava una risposta sulla portata della crisi, ma si sosteneva che al massimo si arriverà a un “Renzi bis”. Come se si attraversasse quindi una normale crisi italiana che, dal dopoguerra a oggi, caratterizza questo Paese.
Intanto nel pomeriggio il presidente del Consiglio, di fronte a una delle direzioni del Partito democratico più storicamente inutili, aveva suggerito due soluzioni politiche impossibili e poi era riuscito a salutare persino “la nonna più giovane”, dopo aver polemizzato indirettamente, di nuovo, con Massimo D’Alema (una rissa da bar che ha ormai stancato tutti).
I due suggerimenti del premier si riducevano a un ricorso immediato alle urne o alla formazione di un “governissimo”, dove dovrebbero entrare “tutti per assumersi le proprie responsabilità”. Renzi fa intendere che a dirigere il supposto “governissimo” dovrebbe essere lui.
Il pandemonio politico sta proprio in questa scanzonata doppia scelta di Matteo Renzi, che forse non si rende conto di quello che è successo dopo il voto sul referendum costituzionale. Non si può andare a votare subito, perché ci sono due leggi elettorali diverse e quella per la Camera, l’Italicum, è a rischio di costituzionalità e la Consulta interverrà su questa solo il 24 gennaio 2017 (“Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”). Così funziona l’Italia anche dell'”alta politica” e dell’alta giurisprudenza. Il “governissimo” può piacere solo a Renzi, ma si rischia che a non votarlo sia anche una parte del Pd.
In questo contesto, tra un governo dimissionario e soluzioni stravaganti, solo il Candide di Voltaire potrebbe trovarsi tranquillo. Vale allora la pena di ritornare alla fresi lapidarie di Leonardo Sciascia, quando a chi lo accusava di essere catastrofista, rispondeva: “Io non sono pessimista, è la situazione che è pessima”. Ieri sera Paolo Mieli, che non è mai banale nemmeno quando dice le bugie e imbroglia (spesso e volentieri), sosteneva: “La situazione è complicatissima e c’è il rischio di rivolte sociali, se non si arriva a una soluzione rapida”.
Sarebbe quindi il caso di prendere la situazione con il massimo di realismo possibile e riporre speranze nell’operato del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che si trova a risolvere una crisi difficilissima. E’ inutile nascondere la realtà. L’Italia si trova in una situazione di oggettiva difficoltà politica, sociale ed economica. I prossimi mesi saranno contrassegnati da appuntamenti internazionali importanti e probabilmente decisivi.
Non dimenticando mai un contesto internazionale molto instabile, dove mancano ormai i punti di riferimento precisi e prevalgono le incognite: chi può dire quali saranno le prossime mosse o addirittura l’agenda di Donald Trump, che sarà pure un populista imparruccato, ma resta il presidente degli Stati Uniti? Chi può immaginare come si evolverà la crisi europea? Come si muoveranno la Russia di Putin e l’Inghilterra di Theresa May? Forse qualcuno pensa che abbiano poco peso nello scacchiere internazionale, ma è sempre bene ricordare che sono due potenze atomiche e membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Di fronte a tante incognite e a una crisi che ha condannato l’Italia a essere una sorta di “cenerentola” europea, con 25 punti di Pil in meno in venti anni rispetto a una crescita parallela, ad esempio, della Gran Bretagna del 33 per cento, non si può giocare al ribasso e alla ripicca.
Tanto per intenderci, al momento l’Italia deve avere un governo abbastanza stabile, credibile e un presidente del Consiglio che unisce, che cerca di creare un Paese coeso. Comunque la si pensi, questo Renzi non è riuscito a farlo.
E ora il gioco passa nelle mani di Mattarella, che però deve fare bene i conti, questa è la realtà dei fatti al di là delle dichiarazioni di rito e delle fasi tonitruanti di un premier dimissionario che pensa a un rivincita immediata. Da quello che si capisce, al di là delle voci e dalle indiscrezioni che arrivano, le soluzioni che propone Renzi sono già state respinte con molta nettezza da Mattarella. Ma la cosiddetta “moral suasion” del presidente della Repubblica non convince il presidente del Consiglio dimissionario.
L’Italia ha bisogno di un governo di stabilità che la porti per qualche mese quasi alla fine della legislatura. Mattarella non ha la possibilità di varare un governo tecnico per quello che è accaduto in questi ultimi anni. Non può però neppure creare un esecutivo che abbia un premier “debole”, quasi controllato da Renzi e dai suoi fedeli, perché significherebbe preparare elezioni eterodirette da Palazzo Chigi con Renzi ancora in plancia per interposta persona.
E’ una scelta non facile e occorre vedere se Mattarella riuscirà a resistere alle pressioni che sta facendo il premier dimissionario, che suggerisce magari un Gentiloni o al massimo un Franceschini. E può anche minacciare, con il gruppo che controlla, una sfiducia a un presidente incaricato che non sia di suo gradimento.
Per comprendere il desiderio di rivincita che mostra Renzi, bastava guardare la direzione del Partito democratico di ieri. Due parole di Orfini, una relazione di rito, insignificante di Renzi, con appunto il saluto alla “nonna più giovane” e poi il silenzio, con gli interventi rinviati. Persino il “pendolare” Gianni Cuperlo sperava almeno in un dibattito se non addirittura in un precongresso. Invece silenzio e atmosfera da tifosi dell’una e dell’altra parte.