Sembrava che il caso delle banche fallite si fosse concluso, con buona pace di tutti — meno, s’intende, i risparmiatori truffati — all’indomani della mozione di sfiducia brillantemente superata dal ministro Boschi in Parlamento; e invece. Mercoledì, con una mossa a sorpresa, il governo ha reso pubblica la lettera riservata della Commissione Ue sulla opzioni tecniche da adottare per salvare e i risparmiatori. Una contromossa di Renzi sulla quale fioccano i punti interrogativi. Non solo. Renzi ha voluto (e otterrà) una commissione parlamentare d’inchiesta “sulla condizione e sulla vigilanza del sistema bancario e finanziario”, questo il titolo del ddl sottoscritto da 42 deputati del Pd. Dopo l’affidamento dell’arbitrato all’Anac di Cantone e la pubblicazione della lettera, è questa la terza mossa con la quale il premier tenta di fugare da sé il sospetto di avere mal gestito il crac delle banche, avallando un’opaca commistione di interessi politici e finanza locale. Un danno politico e di immagine clamoroso che il rottamatore al governo non può permettersi.
Il guaio è che la cronaca di questi giorni potrebbe far sembrare che si sta parlando di cose per addetti ai lavori o delle solite beghe politiche. Nulla di più sbagliato: altro che conflitto di interessi, spiega Alessandro Mangia, costituzionalista. “Il fallimento del sistema di controllo sul sistema bancario messo in luce da Banca Etruria è in realtà il primo, macroscopico, fallimento di quella tecnocrazia a cui il paese è stato affidato dal novembre del 2011”.
La vicenda banche è tutt’altro che chiusa, professore, si veda lo scontro Renzi-Ue sulla lettera riguardante le modalità di salvataggio. Intanto, i risparmiatori sono stati truffati. Dov’è finita la tutela del risparmio?
Non saprei, e purtroppo non è solo una battuta. Con la privatizzazione di Bankitalia e la sua trasformazione in qualcosa di molto diverso da una banca centrale in senso classico, il contesto è radicalmente cambiato. L’articolo 47 della Costituzione dice che “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme” e la Banca d’Italia era l’ente che, su mandato del Governo, doveva svolgere questa funzione di tutela dei piccoli risparmiatori.
Era? Doveva?
Oggi i risparmiatori — piccoli e meno piccoli — non hanno più una Banca centrale che li tutela. E l’art. 47 è paralizzato dalle regole europee che trattano i risparmiatori come speculatori che devono fallire con le loro banche. Mentre a rigore bisognerebbe dire che la normativa sul bail in è semplicemente incostituzionale e che bisogna scegliere tra Costituzione e bail in. E non scegliendo, semplicemente si amputa un altro pezzo di Costituzione e del suo modello sociale.
Quale modello sociale?
Quello fatto di piccoli risparmiatori che dovevano riuscire a diventare proprietari della loro abitazione. Anche questo sta nell’art. 47: tutela del piccolo risparmio e accesso alla proprietà dell’abitazione. Faccio solo notare che da anni sulla Bild.de e sulla stampa tedesca si lamenta che gli italiani sarebbero molto più ricchi dei tedeschi perché sarebbero al 70% piccoli proprietari mentre sarebbe normale vivere in affitto. E non è da oggi che Monti lamenta — per conto terzi — che la proprietà dell’abitazione, ancorando la gente a un territorio, ostacola la mobilità interna all’Unione. E cioè le migrazioni economiche che piacciono tanto ai Grandi Architetti d’Europa.
Raffaele Cantone nella sua intervista al Corriere ha detto che la camera arbitrale interna all’Anac farebbe egregiamente il suo lavoro, senza interferire con la magistratura. “Non ci occuperemo della crisi del sistema bancario, bensì di situazioni specifiche”.
Chiamare in causa una camera arbitrale vuol davvero dire tutelare il risparmio, come chiedeva il costituente? Credo sia questa la domanda cui dobbiamo rispondere.
Proviamo di farlo. Lei come vede la vicenda del crac di Etruria, Marche, CariFerrara e CariChieti?
E’ problematica da due punti di vista. Il primo è prettamente istituzionale. Nessuno dei soggetti coinvolti ha dimostrato di saper svolgere efficacemente le funzioni che la legge gli assegna. Vale per Bankitalia, per la Consob, per il governo e per la magistratura.
Cominciamo dalla prima.
La Banca d’Italia ha dimostrato nei fatti, e l’intervista di Visco a Repubblica ne è la conferma, che il sistema di vigilanza non era affatto all’oscuro delle sofferenze bancarie, eppure non ha fatto nulla. Che poi Visco vada in televisione da Fazio a dire che non aveva poteri per intervenire, è solo un’operazione di comunicazione. Bankitalia ha sempre svolto verso le singole banche un’azione di vigilanza e controllo fondata non su azioni di interferenza operativa, ma sulla moral suasion. Sembra poco, ma non lo è. Ci sono governi che sono caduti per le lettere partite da Via Nazionale (crisi del governo Spadolini II, 1982, ndr), e il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, nell’81, si consumò nelle lettere tra Ciampi e Andreatta. Per non parlare delle lettere della Bce ai governi italiano e spagnolo nel 2011.
Dunque Bankitalia poteva intervenire ma non l’ha fatto. Nonostante la super-vigilanza che oggi la Bce compie sui sistemi bancari nazionali?
Assolutamente sì. Il problema se mai è un altro, e cioè che oggi la Banca d’Italia non è più un ente pubblico e un soggetto terzo rispetto ai singoli istituti bancari, ma solo l’ente esponenziale degli interessi di quegli istituti bancari. Ieri ad avere in mano il capitale di Bankitalia erano l’Iri e alcune banche di interesse nazionale (Banco di Roma, Credito Italiano e Comit), oggi al massimo il 5,5% del suo capitale è in mano a soggetti pubblici. La terzietà non c’è più. Basta andare a vedere la ripartizione delle quote dopo le riforme degli ultimi anni e dopo la vicenda Imu-Bankitalia. E infatti non si sa più cosa sia Bankitalia.
La Consob?
Bankitalia non è intervenuta sulle banche, ma la Consob non ha minimamente garantito i singoli risparmiatori, e questo fa capire a cosa servono le direttive Mifid “per la tutela degli investimenti” di provenienza europea, che ogni singolo risparmiatore deve firmare prima di fare un acquisto obbligazionario o azionario.
Appunto, a che cosa servono?
A che il singolo risparmiatore sia informato del livello di rischio cui va incontro quando fa un acquisto obbligazionario. Quanto fossero realmente informati, lo si può chiedere ai risparmiatori di Etruria e delle altre banche fallite.
Governo e magistratura?
Il governo è coinvolto in una questione di conflitto di interesse di cui hanno parlato tutti i giornali e non vale la pena parlarne ancora; la cosa divertente è che anche la magistratura, che dovrebbe indagare su quanto è accaduto, si trova rappresentata da un pm di Arezzo che è consulente del governo e il cui incarico attende di essere vagliato dal Csm.
Conclusioni?
Questo non è il fallimento di quattro banche, ma di un sistema di poteri e di controlli che dovrebbe rappresentare il cuore dello stato di diritto. E chiamare in causa un’autorità straordinaria come l’Anac vuol dire passeggiare allegramente sulle sue macerie.
Ma quella dell’Autorità non è una terzietà così ovvia, limpida e naturale?
E’ la terzietà di un’autorità speciale che non ha una collocazione precisa nel nostro sistema istituzionale e che è molto più un problema che una soluzione.
“Rispetto alle rivendicazioni dei privati, cioè i risparmiatori, e alla parte pubblica chiamata a pagare i risarcimenti, cioè lo Stato, ci dev’essere un terzo che decide”; Cantone dixit.
Molto interessante, come principio. La terzietà dovrebbe essere dello Stato, e cioè del potere pubblico, nei confronti di due soggetti privati, la banca fallita e l’investitore presumibilmente truffato. Spiace rilevare che quello del capo dell’Anac è un ulteriore ragionamento antisistema. Nulla di personale, il problema è che si cerca di ovviare al cortocircuito chiamando in causa poteri speciali e distorcendo il quadro. Nel ragionamento di Cantone la bega sarebbe tra Stato e cittadini truffati e a decidere come soggetto terzo e super partes dovrebbe essere lui, che è messo lì dal Governo e però è indipendente e terzo. Se ci si pensa siamo al grottesco istituzionale. Neanche Flaiano con una laurea in giurisprudenza.
Quanto è sotto i nostri occhi, lei diceva, è problematico da due punti di vista. Quello istituzionale lo abbiamo toccato. E l’altro?
E’ di natura storico-sistemica. Il fallimento del sistema di controllo sul sistema bancario messo in luce da Banca Etruria è in realtà il primo, macroscopico, fallimento di quella tecnocrazia a cui il paese è stato affidato dal novembre del 2011. Da allora abbiamo avuto tre governi di natura squisitamente tecnica che hanno ricevuto un’investitura più forte dall’esterno che dall’interno in ragione della situazione di emergenza. Un’emergenza che i poteri illuminati, razionali ed efficienti cui è stato affidato il paese non sono riusciti a governare. E che semmai hanno aggravato definitivamente. Neanche fosse stato quello il loro compito.
In un modo o nell’altro si arriva al governo Monti.
E’ lo stesso Visco a parlare di “gravissima doppia recessione subita dall’economia italiana dal 2009 al 2013”, a dire che c’è stato un calo della produzione industriale del 25% e del Pil del 10% e a dire che la sofferenza delle nostre banche non è derivata da investimenti di natura finanziaria spericolata, come avvenuto in Francia e in Germania, ma come conseguenza della crisi di sistema determinata dall’austerity voluta da Monti e soci. E’ chiaro che se si pilota una recessione deflattiva di questo genere a farne le spese prima sono le pmi che falliscono e poi le banche locali che finanziavano queste pmi e che non sono più riuscite a rientrare dalle esposizioni. E allora semplicemente è successo che, essendo in difficoltà, queste banche hanno provato in extremis a fare raccolta presso i piccoli risparmiatori, i più malleabili ed indifesi, portandoli con sé nel fallimento. In questo Visco fa un’analisi onesta e corretta.
Cominci da lady Etruria, da papà Boschi e dal conflitto di interessi e arrivi all’auto-legittimazione dei poteri tecnici. Perché?
Il problema è che la vicenda Banca Etruria, ben al di là del conflitto di interesse della famiglia Boschi e di cui mi interessa davvero poco, chiama in gioco tutto il problema dei rapporti tra economia e politica. Se ci sfuggisse questo passaggio potremmo anche credere che dopo il voto parlamentare che ha assolto il ministro, salvo qualche sviluppo come lo scontro Renzi-Ue sulla lettera resa nota venerdì, l’intera vicenda fosse chiusa, invece non è così. I poteri cosiddetti tecnici hanno mostrato tutta la loro incapacità di arrivare a soluzioni non dico giuste — perché per definizione non è questo il loro obiettivo — ma neanche efficienti o razionali.
C’è qualcosa che può invertire la tendenza?
Attualmente no, perché non ci sono più partiti politici. La prima repubblica è finita quando è passata l’idea che non dev’essere più la politica a gestire l’economia, ma deve essere questa ad autogovernarsi secondo le leggi immutabili del mercato. Insomma, dopo il divorzio Tesoro-Bankitalia voluto da Beniamino Andreatta, non restava che spazzare via un’intera classe politica perché non serviva più a niente. A questo ha provveduto dieci anni dopo Tangentopoli assieme al Trattato di Maastricht. Nel frattempo l’economia è diventata finanza, e le caratteristiche di questo rapporto difficile tra politica e finanza si sono esasperate. Si ricorda di chi disse “…Allora abbiamo una banca?”?
E’ l’intercettazione della telefonata di Piero Fassino, all’epoca segretario dei Ds, all’allora amministratore delegato di Unipol Giovanni Consorte.
Beh, adesso non è più un partito o un esponente di governo ad avere una banca. Semmai è il contrario. E’ davvero un peccato che ci sia sempre di mezzo lo stesso partito. In questo quadro è chiaro che Renzi deve fare la voce grossa con Bruxelles e con le letterine sui bail in nazionali per salvare il salvabile. L’anno prossimo ha elezioni e se la cosa si allarga — e si allargherà — gliela vedo difficile, con o senza Cantone a sbiancare e arbitrare. Altro che mozione sul conflitto interessi.
(Federico Ferraù)