Rimpastare o non rimpastare, questo è il dilemma. Per Matteo Renzi il nuovo anno si apre all’insegna di questo amletico dubbio. Il premier ha urgente bisogno di un rilancio politico e programmatico, ma non è affatto detto che questa mossa da prima repubblica sia la strada più opportuna.
Eppure di un rimpasto di governo si parla sin dall’estate scorsa. E di un rimpasto all’interno del Pd è stato lo stesso Renzi ad accennare nel brindisi a Largo del Nazareno. Una maniera per allargare la sua base interna, coinvolgendo nella gestione uomini rappresentativi della corrente di Matteo Orfini, i “giovani turchi”, di quella della sinistra interna, e dei bersaniani. Tutto ciò potrebbe avvenire fra la metà di gennaio, quando è prevista una direzione democratica sulle elezioni amministrative, e metà febbraio, quando si riunirà l’assemblea nazionale.
In mezzo, intorno al 20 gennaio, il rinnovo delle presidenze delle commissioni in Senato. E visto che ci sono a disposizione alcune poltrone attualmente ancora occupate da esponenti di Forza Italia, potrebbe essere quello il momento propizio per una redistribuzione di incarichi che coinvolga anche l’esecutivo.
Le premesse ci sarebbero: c’è vacante una poltrona di ministro, quello degli Affari regionali, che dovrebbe spettare all’Ncd. Due, entrambi femminili, i nomi che circolano, Federica Chiavaroli e Dorina Bianchi. Ma ai centristi potrebbe andare in alternativa la commissione Giustizia del Senato. A quell’incarico potrebbe andare il bersaniano Vasco Errani, storico presidente dell’Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni. In alternativa per Errani ci potrebbe essere il posto di viceministro allo sviluppo economico con delega alla crisi industriali, lasciato libero quando Claudio De Vincenti ha traslocato a Palazzo Chigi come sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Per l’altra poltrona di viceministro vacante, quella degli Esteri, da mesi si parla del democratico Enzo Amendola. Ma il rimpasto potrebbe non finire qui. Potrebbe essere assai più vasto, a prefigurare una sorta di Renzi 2. In discussione moltissimi nomi, quasi tutti, eccezion fatta per Maria Elena Boschi e Maurizio Martina, intoccabile dopo i successi di Expo. In cima alla lista Federica Guidi, ma non si esclude una sostituzione per Giuliano Poletti e addirittura per Pier Carlo Padoan. C’è poi da dare qualcosa di più di oggi a Scelta Civica, rimasta con il solo Enrico Zanetti nel governo da sottosegretario, dopo l’abbandono del partito da parte della Giannini e di parecchi altri esponenti.
La questione non è solo di nomi, è assai più concreta. Renzi deve fare camminare su volti nuovi un nuovo slancio programmatico. Per questo ha scelto di uscire dall’angolo suonando la carica e rivendicando i successi del suo governo. Ha snocciolato successi su successi, mettendo in fila il Pil che torna a crescere e il taglio delle tasse che verrà con il nuovo anno.
In realtà i fronti aperti sono sempre più numerosi, e molti sono già finiti sotto la lente d’ingrandimento dell’Europa, dal caso banche, alla legge di stabilità, ala gestione del flusso dei migranti. Anche sul piano europeo Renzi mette in pratica l’antico adagio secondo cui “la miglior difesa è l’attacco”. Così ha attaccato la Merkel nell’ultimo vertice europeo, guadagnando un invito a Berlino per i primi giorni dell’anno. La cifra del suo 2016 si vedrà da lì, anche perché oggi il nostro paese appare molto isolato sul piano europeo, come dimostra il caso immigrazione, un terreno sul quale in un lampo l’Italia si è trovata da vittima a grande accusata per le mancate identificazioni.
Un gioco al continuo rialzo che il premier ha in mente di praticare anche in Italia, ponendo in cima alla lista dei buoni propositi per l’anno nuovo i diritti civili, dallo jus solii alle unioni civili. Si tratta di temi scivolosi e divisivi, il secondo soprattutto. I centristi hanno sin qui avuto successo nel provocare l’impantanamento al Senato, per evitare che le unioni civili si trasformino in un cavallo di Troia delle stepchild adopotions e dell’utero in affitto. Una battaglia di bandiera che non accenna a interrompersi e che sarà difficile superare con maggioranze variabili, rivolgendosi ai 5 Stelle.
Scegliere i diritti civili come terreno su cui misurare la forza riformatrice del governo potrebbe di conseguenza essere foriero di brutte sorprese per il premier, sinora abile nell’evitare gli scogli più acuminati che si sono presentati lungo la rotta della navicella del governo.
Ma è la somma dei vari fronti aperti che potrebbe alla fine lentamente togliere ossigeno al governo. Il caso banche è ben lungi dall’essere chiuso, al punto che la troppa cautela del governo ha provocato la discesa in campo di Mattarella. Governo assente anche di fronte all’emergenza smog. Ma il vero banco di prova potrebbero essere le amministrative. Oggi Torino, Milano e Roma sono in mano al Pd. Solo Fassino nel capoluogo piemontese veleggia abbastanza tranquillo verso la riconferma. Per il resto, ogni battaglia persa (c’è anche Napoli), verrà addebitata a Renzi dai tanti oppositori, interni ed esterni, oggi acquattati nell’attesa di un passo falso decisivo. Ecco perché un rimpasto potrebbe non bastare.