Il ciclone Macron (perché di ciclone si tratta con 20 milioni di voti pari a due terzi degli elettori) non si fermerà certamente alla Francia. Intanto, appare chiaro che in Germania servirà a rafforzare ancor più i partiti europeisti, in particolare Angela Merkel la quale, a giudicare dal risultato ottenuto nello Schleswig-Holstein domenica scorsa, si presenta in testa al voto del prossimo settembre. Ma le elezioni francesi sono destinate a influenzare anche il quadro politico italiano. Nello scacchiere di centro-sinistra, come è già stato scritto a più riprese, nel Movimento 5 Stelle e forse ancor di più nel centro-destra.
La prevedibile reazione di Beppe Grillo dopo un lungo silenzio (“Sarà un altro governo delle banche”, ha dichiarato) dimostra che i pentastellati si erano illusi. Possibile che i tecnocrati della piattaforma Rousseau e il padre padrone del movimento fossero davvero convinti che potesse vincere Marine Le Pen? Difficile credere in tanta ingenuità. I mass media più vicini, dal Fatto Quotidiano a La7 allo stesso Corriere della Sera, non hanno digerito il trionfo di Macron. Il filo conduttore dei loro commenti, dai più radicali ai più moderati è, per dirla con qualche battuta: adesso sono cavoli suoi, ha vinto ma non convinto, forse non otterrà nemmeno la maggioranza in parlamento, il populismo non è morto con il Front National, è vivo e lotta insieme a noi.
Superata l’irritazione momentanea, Grillo dovrà capire come cambiare spalla al fucile senza disorientare le sue truppe. Le gaffe in serie, gli errori, i pasticci, il clamoroso boomerang sul no ai vaccini (adesso ci si è messa anche la Appendino), il disastro di Roma sommersa dai rifiuti, tutto spinge con urgenza verso un cambio di passo. Rimasto senza sponda internazionale in America (dopo l’incredibile comparsata di Di Maio in quel di Boston) e in Europa, accreditarsi come forza di governo è oggi molto più difficile.
Matteo Renzi è già sul carro di Macron. Per essere onesti, bisogna ricordare che lo stesso presidente francese ha cominciato la sua marcia con un’idea politica molto vicina a quella di Renzi: rottamare i vecchi elefanti della sinistra, riformare la Francia e riformare l’Europa. Ma oggi i rapporti si sono invertiti: è un Renzi, sconfitto al referendum che, riconquistato il partito, deve trarre lezione da un Macron vincitore. Come?
Innanzitutto il segretario del Pd ha bisogno di allargare i consensi fuori dalla propria area, tra gli elettori, ovviamente in quel 40% che ha votato sì, ma ancor più tra chi ha rifiutato la riforma costituzionale soprattutto per dargli una lezione. Macron ha raccolto molto dalla destra repubblicana, dai socialisti (e questo era scontato) e dai francesi che al primo turno hanno sostenuto Mélenchon. È stata una convergenza anti-Front National, ma in ogni caso il neo-presidente ha ottenuto un mandato molto ampio e trasversale. Vedremo a giugno che conseguenze avrà sul voto per il parlamento.
Guardando alla sua sinistra, Renzi ha lanciato un segnale a Giuliano Pisapia e ha confermato una chiusura netta verso gli scissionisti dalemian-bersaniani. È una manovra tattica per dividere i suoi avversari à gauche, ma forse anche un passo verso la costruzione di una rete di alleanze elettorali. Il segretario del Pd, tuttavia, è attento soprattutto a quel che accade nel centro-destra.
Nettamente sconfitto è Matteo Salvini il quale si consola con un inno alla lotta: combattere fa sempre bene anche quando si perde. Ma il suo progetto di trasformare la Lega in un Fronte nazionale, è fallito. Umberto Bossi lo aveva previsto da tempo e adesso spingerà per una resa dei conti. Roberto Maroni e Luca Zaia aspettano probabilmente i referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto: se otterranno un buon risultato, lo metteranno sul tavolo con l’obiettivo di cambiare linea e leadership riportando la Lega verso un’alleanza ferrea con Forza Italia. A quel punto, toccherà a Silvio Berlusconi tirare le conclusioni traendo la lezione da Macron. In che senso?
Tutti i sondaggi dicono che un centro-destra ricomposto arriva grosso modo allo stesso livello di consensi del Pd e del M5S. L’Italia ha già un assetto politico tripolare, in quel modo lo avrebbe anche sul piano formale. Berlusconi ha bisogno di trovare un leader nuovo, “politico e competente”, come diceva Charles de Gaulle che prese Georges Pompidou dalla banca Rothschild. Lui, il fondatore di Forza Italia, dovrebbe riservarsi il ruolo di Gran Ressembleur.
Si dice che in un sistema sempre più proporzionale, senza obbligo di coalizzarsi in anticipo, una figura del genere è meno importante, ma non è vero. L’Italia proporzionale aveva i suoi leader carismatici, e la stessa Dc metteva in campo i “cavalli di razza”: dopo De Gasperi, i Fanfani, i Moro, gli Andreotti. Chi sono nel centro-destra i purosangue politici e competenti? Ci sono uomini che hanno avuto esperienze di governo importanti, come Giulio Tremonti o lo stesso Maroni. Fuori dai ranghi del passato, oggi uno Stefano Parisi potrebbe giocarsi le sue carte con maggiori chance. Se Berlusconi, sempre alla ricerca del quid, ma restio a designare successori, non si mette di traverso.
Anche per rompere gli indugi tattici sulla legge elettorale, Renzi aspetta gli sviluppi interni al centro-destra. È naturale che siano qui i suoi interlocutori politici perché Grillo non ha intenzione di interloquire, né di far politica. E perché è lui il vero avversario. Da questo punto di vista, il M5S non la Lega può essere considerato l’equivalente italiano del Front National. Volendo proseguire con la politologia parallela, potremmo dire che in Italia c’è una Le Pen in versione maschile, non c’è ancora un Macron.