E’ in atto un cambiamento epocale di cui tutti dovrebbero rendersi conto e molti ancora sono in ritardo. Il fatto che i mercati non siano più disposti a rifinanziare il debito delle euronazioni se queste non dimostrano la capacità di contenerlo e poi ridurlo, chiude una stagione storica del modello di welfare europeo: nel futuro non sarà più possibile finanziare in deficit gli apparati enormi e le garanzie generose dello Stato sociale.
Il taglio, in Italia, di 24 miliardi di spesa pubblica nel prossimo biennio è solo l’inizio di un processo di riequilibrio dettato dalla necessità di mostrare subito ai mercati che l’Italia è capace di rigore e di perseguirlo nonostante le ovvie proteste degli interessi colpiti. In caso contrario l’Italia verrebbe messa nella lista dei Paesi a debito insostenibile. Ma, finita questa emergenza contingente, poi l’Italia dovrà mostrarsi capace di rispettare Il nuovo requisito europeo del “bilancio in pareggio”.
Già nel 2009 la Germania ha messo in Costituzione tale obbligo, dal 2016 per il livello federale e dal 2020 per le istituzioni locali. Per arrivarci dovrà tagliare circa dieci miliardi di spesa strutturale ogni anno ed il governo Merkel ha confermato tale intento.
La Francia ha annunciato qualcosa di simile e sta studiando il meccanismo istituzionale per arrivarci. L’Italia, se non vuole uscire dall’euro e rischiare l’insolvenza del suo debito, dovrà fare lo stesso. Significa, con una prima stima ad occhio, dover tagliare in 5 anni dai 50 ai 60 miliardi di spesa pubblica per arrivare al pareggio di bilancio, cioè ridurre a zero o quasi il deficit pubblico annuo, in modo da contenere l’aumento del debito complessivo.
Tale nuovo requisito sostituirà il vecchio europarametro che ammetteva un deficit fino al 3% del Pil (cioè 45 miliardi circa). Un taglio del genere in cinque o sei anni implica una tale riduzione dei costi pubblici da indurre una modifica del modello di Stato sociale con apparati amministrativi di grande volume. Se la crescita del Pil aumenterà oltre le attese e l’inflazione resterà bassa, allora l’impatto sarà più morbido, ma non al punto da modificare la necessità di cambio del modello. Inoltre il rigore senza crescita non basterà e la seconda è ottenibile solo tagliando le tasse, requisito che aumenterà il volume dei tagli strutturali sopra ipotizzati. Questo è lo scenario che la politica dovrà affrontare nei prossimi 5 anni.
Ma sia in Italia sia nell’Eurozona non è pronta a cambiare modello. Prova ne è che i tagli finora intervenuti, e quelli in corso, cercano di mantenere il vecchio modello finanziandolo di meno e aumentando le tasse o non riducendole. Così si arriva all’assurdo di ridurre le garanzie per i bisognosi, mantenere i costi inutili degli apparati e comprimere la crescita del Pil. Per un po’ tale politica, se sostenuta da più crescita trainata dall’export grazie alla svalutazione dell’euro, potrà tenere, ma ad un certo punto esploderà il problema che lo Stato sociale non potrà essere ridotto senza essere ridisegnato.
Senza un nuovo modello, infatti, i tagli del vecchio o produrranno una rivolta sociale o non basteranno per lo scopo o indurranno una deflazione distruttiva per assenza di crescita. Per questo l’interrogativo principale riguarda la capacità della politica sia di concepire un nuovo modello di welfare con minori costi d’apparato, garanzie più sostenibili e con un fisco più favorevole alla crescita sia di conquistare il consenso per realizzarlo. Speriamo la trovi, ma va registrato che al momento, in tutta Europa, non dimostra di averla.