Caro direttore, ho letto l’articolo di Ugo Bertone e, francamente, non capisco cosa effettivamente voglia dire, poiché riporta cose, anche giuste, ma con quale finalizzazione? Tra l’altro colgo pure una contraddizione quando, da una parte, afferma che “il programma di Quantitative easing ha centrato non pochi obiettivi, come dimostra il miglioramento delle condizioni di credito nell’eurozona, specie in Italia”, ma, da un’altra, dice che “nelle ultime settimane sono arrivati segnali negativi per il quadro economico” (…) “insomma, la situazione peggiora”. Ora, il Quantitative easing, immissione di liquidità nel sistema economico, da parte della Bce è stato fatto per riattivare il ciclo economico nell’Eurozona, visto che esso era stantio e si stava avvitando nella deflazione. Per cui, la performance del Qe non può essere misurato su un obiettivo intermedio (“miglioramento delle condizioni di credito nell’Eurozona”), ma sull’obiettivo finale, cioè la riattivazione del ciclo economico e dell’inflazione sotto la soglia del 2%. E, da questo punto di vista, entrambi gli obiettivi non sono stati raggiunti, proprio perché il quadro economico non volge al bello e, dunque, serve un’ulteriore dose di Qe.
Sarebbe da discutere se la cosiddetta deflazione, che tanto spaventa le Banche centrali, sia o no una cattiva cosa; infatti, dati economici storici – per esempio, andamento dell’inflazione oscillante intorno allo zero di fine ‘800 – dicono che tale situazione possa essere anche buona. Ma il punto che qui voglio mettere in evidenza è il loop in cui la Bce, come nel caso di tutte le Banche centrali degli altri paesi, si sta cacciando, e precisamente: maggior Qe non porta a minor deflazione, ma, al contrario, a maggior deflazione. Infatti, questo esperimento – si parla infatti di “uncharted territory” – che le Banche centrali stanno effettuando sulla nostra pelle, non potrà che portare a danni ancora peggiori.
Infatti, il Qe porta a una riduzione pilotata dei tassi di interessi, sottratta cioè alla loro naturale evoluzione e condizionamento dipendente dalle sole forze di mercato verso il cosiddetto “tasso naturale”, nella direzione di obiettivi stabiliti dalla Banca centrale di un Paese. L’attività spinta sul Qe ci sta portando verso la cosiddetta politica dei tassi negativi (si veda a tal proposito la curva dei rendimenti svizzeri che è diventata tutta negativa fino alla scadenza dei 10 anni; oppure, per rimanere vicino a noi, in questi giorni il rendimento del titolo biennale italiano per la prima volta è diventato negativo). Questo non può essere senza effetti per il sistema finanziario, in particolare per le banche commerciali. Infatti, una tale politica non può che portare a una riduzione dei proventi rivenienti dagli assets in portafoglio delle banche.
Queste, d’altra parte, non possono che avere due strade: a) scaricare il tutto sul rendimento dei depositi dei correntisti, che diventerebbe altrettanto negativo; b) aumentare i proventi rivenienti dagli impieghi sia corporate che retail. La prima strada viene, almeno al momento, rifiutata dalle banche poiché alimenterebbe una fuga di liquidità dei correntisti dalle stesse banche con l’obiettivo di mettere il contante sotto il classico “materasso”. Infatti, che senso avrebbe per un correntista mantenere la sua liquidità sul conto corrente (che equivale a un prestito alla banca) con il risultato di dover pure pagare la banca, visto che il tasso di interesse “goduto”, a causa della politica della Banca centrale, sarebbe negativo? Sarebbe un comportamento puramente irrazionale. Gli effetti, d’altra parte, per le banche sarebbero disastrosi poiché, mettendole a secco di liquidità, le farebbero fallire. Per le banche, ripeto, almeno al momento, non resta che la seconda strada, quella cioè di aumentare i proventi da impieghi, cioè gli interessi e le commissioni su chi contragga un prestito o utilizzi un fido. Ma ciò non potrebbe che determinare un aumento dei costi finanziari sia per il segmento corporate che retail.
Dunque, in sintesi, il risultato del Qe che, ricordiamolo, è finalizzato a riattivare il ciclo economico, ha invece un risultato opposto: da una parte i possessori di liquidità investita sui depositi o nei titoli di Stato vengono impoveriti (dunque minor potere di acquisto); dall’altra, coloro che sono indebitati si vedono ulteriormente impoveriti da maggiori costi finanziari. Risultato del Qe: il ciclo economico inizialmente manifesta un leggera ripresa, successivamente ricade al punto da cui era partito, se non peggiore, con conseguente “riaccensione” della deflazione.
Un altro degli effetti malefici del Qe è quello di alimentare le bolle speculative in vari settori, tra cui quello immobiliare. A tal proposito si veda il forte incremento del prezzo delle abitazioni a Copenhagen (tra il 40%-60%), dov’è stata attuata per prima in Europa la politica dei tassi negativi da parte della Banca centrale.
Draghi, l’altro giorno, almeno al momento, ha soltanto “detto” di essere pronto ad aumentare il Qe (in termini di qualità, quantità e scadenze), così come fece nel 2012 con il suo famoso “whatever it takes”, e già i mercati (azionari e dei cambi) si sono abbondantemente mossi, quasi “festeggiando”. Ma credo non ci sia proprio nulla da festeggiare. Gli unici “titolati” a farlo sono gli speculatori di professione che, difatti, oramai dal 2008, ringraziano le Banche centrali per la loro dissennata (per tutti noi) politica monetaria, che tanti profitti genera per loro.
La politica annunciata giovedì scorso da Draghi non farà altro che continuare ad alimentare la “guerra delle valute”, generando contro-reazioni a difesa delle loro valute da parte di altre Banche centrali che già attuano la politica dei tassi negativi (Banca centrale svizzera, quelle dei paesi del nord Europa, ecc.). Inoltre, gli effetti positivi sull’euro metteranno ancora più in imbarazzo la presidente della Fed, Janet Yellen, la quale si sta macerando il cervello sulla decisione (“vorrei, ma non posso”) se alzare o meno i tassi di interesse. Decisione, peraltro, gravida di conseguenze sulla crescita mondiale (effetti negativi sui Paesi emergenti).
La Bce è stata l’unica Banca centrale al mondo a mantenere un equilibrio tra la crescita del Pil e quella dell’indebitamento, e ciò perché nel Board della stessa siedono i tedeschi della Bundesbank. Per questo, non so se si possa condividere quanto dice l’articolista Bertone circa una presunta “benedizione” dei tedeschi di questa mossa espansiva della Bce, racchiusa nelle ultime parole di Draghi, e ciò a motivo del rallentamento del ciclo economico tedesco, alimentato anche dallo scandalo della Volkswagen.
Perché, allora, mi chiedo, la Bce non apre gli occhi e non vede i risultati fallimentari della pesante politica del Qe attuata dal Giappone? Perché imitare i “ciechi” e ostinati attuatori, Abe (primo ministro) e Kuroda (Governatore della Banca centrale giapponese), di questa politica monetaria attuata in Giappone? Non è meglio spingere gli Stati sovrani ad attuare vere riforme strutturali, per altro sollecitate dalla stessa Bce, piuttosto che spingerli in uno stato soporifero generato dal Qe?
Proprio Renzi, con la sua manovra finanziaria, è l’esempio di questa non bella situazione. Infatti, ha progettato una manovra finanziaria che è formata da tanti “contentini” ma che sostanzialmente non porta da nessuna parte. I problemi li avremo sempre davanti. Auguri! (a tutti noi).