Dunque, Ei Towers avrebbe potuto lanciare tranquillamente un’Opa – per ipotesi – su Luxottica senza specificare al mercato che il largo controllo (60%) fa capo a Leonardo Del Vecchio, notoriamente indisponibile a vendere la sua azienda. Invece, lo scorso 24 febbraio, ha lanciato un’Opas su RaiWay – controllata al 64% dalla Rai (100% Tesoro) – senza specificare che un decreto della Presidenza del Consiglio imponeva a viale Mazzini di mantenere almeno il 51% del suo gestore delle torri: e questo – almeno secondo la Procura di Milano – può configurare il reato di aggiotaggio. Tanto che l’intero cda di Ei Towers è da ieri indagato.
Gli inquirenti che ieri hanno sguinzagliato la Guardia di Finanza contro la sede brianzola della società del gruppo Mediaset vorrebbero chiarire se questa “dimenticanza” sia stata frutto di dolo o se avesse altri fini, visto che la comunicazione ha avuto forti ripercussioni sul titolo Raiway. Il mercato, in effetti, ha preso molto sul serio l’iniziativa di Ei Towers. Il titolo RaiWay che navigava poco sopra i 3,5 euro (dopo l’Ipo a 2,95 dello scorso novembre) è balzato sopra subito i 4 euro dopo la proposta mista di Ei Towers che lo valorizzava 4,5 euro. E a quella quota (ieri 4,3 euro) è rimasto anche dopo che Ei Towers ha modificato e infine ritirato l’offerta dopo il fuoco di sbarramento alzato soprattutto della authority cosiddette “indipendenti” (Consob e Antitrust).
Il Tesoro, in ogni caso, ha preso la cosa non meno sul serio, premurandosi di riaffermare il vincolo normativo: come avrebbe fatto un Del Vecchio che avesse voluto ribadire subito al mercato il suo no a un’ipotetica offerta ostile di Luxottica. E nei giorni successivi, da prassi disegnata da regole e Borse, sono giunti anche i “no” dei cda Rai e RaiWay. Il mercato, dal canto suo, non ha fatto marcia indietro, convinto, evidentemente, che l’Opas Ei Towers avesse logica economico-finanziaria: che, cioè, la concentrazione fra i gestori di torri tv & tlc fosse una tendenza oggettiva e che la difficile situazione dei conti Rai avrebbe imposto una valutazione attenta dell’offerta Ei Towers. Nulla avrebbe vietato al Governo di ripensarci: di cambiare la norma, di rispondere a una sollecitazione di mercato con approccio politico e industriale, non giuridico-burocratico (anche un Del Vecchio potrebbe cambiare idea dopo un mese su un’Opa Luxottica).
Nulla di questo è comunque avvenuto: tanto meno un warning preventivo dell’azionista Tesoro ai consiglieri della propria controllata (pensateci bene prima di dire no a Ei Towers e provocare un danno patrimoniale, cioè erariale, a viale Mazzini). Giunge ora invece dalla magistratura una strana e minacciosa “diffida postuma” ai consiglieri di Ei Towers: non riprovateci mai più (voi o altri) o rischiate grossi guai giudiziari. Ma sono questi, evidentemente, i privilegi di un caudillo. Non dovrebbero esserlo per un premier democratico che ventiquattr’ore prima ha visitato Piazza Affari invocando trasparenza sui mercati.
(P.S.: Per amor dello stato di diritto e della civiltà giuridica in Italia siamo obbligati ad augurarci che la Procura di Milano indaghi anche su altro. La congettura più classica e banale è che “qualcuno che sapeva” – esattamente com’è avvenuto per la riforma delle Popolari varata dallo stesso governo in gennaio – abbia accumulato pacchetti RaiWay, rivendendoli nei giorni successivi all’Opas. Ma questo reato – nel caso – si chiama insider trading. E anche su questo reato “diabolico” le diverse autorità del mercato non hanno mai trovato una misura omogenea. Durante la “madre di tutte le Opa”, l’Olivetti di Roberto Colannino vendette “per errore” un grosso pacchetto di Telecom: operazione come minimo sospettata di voler calmierare il prezzo Telecom sul mercato, in vista del rilancio finale che arrivò puntualmente pochi giorni dopo. Bene, la Consob presieduta da Luigi Spaventa – della Sinistra Indipendente – certificò tutte le giustificazioni portate da Olivetti. Ma lì l’Opa godeva dell’appoggio totale il premier Ds Massimo D’Alema. Tanto che alla fine anche il direttore generale del Tesoro di allora, Mario Draghi, consegnò le sue azioni “d’oro” Telecom all’Opa, contribuendo a decretarne il successo. Il mercato è mercato: o solo se fa comodo al Pd di turno?).