Il cuore dell’Europa fatica a funzionare: le sistole e le diastole non hanno lo stesso ritmo. Il ciclone elettorale europeo inizia a scomporre la radice stessa di quel cuore. E la radice è piantata profondamente in due terre storicamente ben distinte: la terra francese e quella germanica. Due terre che s’erano unite con vincoli antemurali durante la guerra civile europea contro l’Urss e nel contempo con il Piano Marshall e via via con un seguitar di accordi funzionali che da commerciali e industriali e poi agricoli si son fatti, dopo Maastricht, dei trattati sempre più impegnativi. Son divenuti monetari prima di essere politicamente solidi, ossia non così solidi da sostituire lo Stato- nazione con lo Stato continentale europeo.
Le illusioni della salvifica moneta unica si stanno ora dissipando proprio per ragioni politiche. La crisi finanziaria della metà del primo decennio del Duemila e poi la crisi da deflazione per eccesso di surplus commerciale tedesco e olandese nella seconda metà di quel decennio stanno trasformando l’Europa in un deserto dei tartari perché danneggiano anche la Germania che non alimenta la sua economia, ma solo la finanza internazionale, non investendo in infrastrutture e in nuova occupazione.
La leadership politica in questo modo fatica a manifestarsi in positivo ossia unificando anziché dividendo. E la prima divisione, la prima lacerazione è stata quella greca. Oggi quella divisione si ripresenta per l’effetto mortale che la cura dell’austerità ha avuto sulla società e quindi sull’economia greca. La Germania non nasconde il fatto di dominare l’Europa (perché quella proposta della Merkel prima della riunione di Malta se non per dar prova muscolare di dominio in funzione elettorale?) ?e la prova provata di ciò potrebbe essere lo spinger fuori dall’Europa la Grecia. Sarebbe l’inizio della disgregazione europea. Ma sarebbe un bel bottino elettorale per la Cancelliera minacciata non solo dalle destre nazionaliste, ma anche da una socialdemocrazia miracolosamente risuscitata dal nuovo sfidante Schulz.
Ma vi è dell’altro. La minaccia della destra estrema francese che avanza nei sondaggi con la Le Pen e il tentativo di liquidazione via giudiziaria del solido avversario Francois Fillon che viene accusato di una pratica diffusissima in Francia e che solo ora si discopre come se fosse una novità. La minaccia è reale. Se il Front National vincesse la disgregazione europea si avvererebbe perché se il cuore economico dell’Europa è la Germania, da sempre quello politico è la Francia e un altro voto negativo referendario contro l’Europa, come già accadde in terra francese, sarebbe la vera fine dell’Europa.
Non scherziamo con la Grecia. Si metterebbe in moto una slavina che a differenza di quello che pensa il moderatismo tedesco paladino dell’austerità non sarebbe più controllabile e provocherebbe una crisi dell’euro non gestita e incontrollata, che non favorirebbe che l’alta finanza speculatrice contro tutti: eurofili ed eurofobi. La più danneggiata sarebbe l’Italia in una situazione di paralisi politica per la dilaniante incertezza che sovrasta la macchina dei partiti e la decadenza del suo establishment che fatica a ritrovare se stesso.
Il tutto in una situazione internazionale che vede gli Usa non più disposti a farsi carico della dominazione tedesca dell’Europa e che guarda alla Russia con sempre più realistico orientamento geostrategico.
È un cambiamento improvviso nel suo manifestarsi che dovrebbe essere affrontato con forti istituzioni e solide prospettive di negoziazione in Europa e nel Nord Africa. Per questo l’Italia deve agire per ricomporre e non per dividere: che passi la piena elettorale e poi si agisca per rialzarsi con l’unità di una nazione, l’Italia, che deve ancor dire la sua in Europa per la civilizzazione di cui è testimone.