Sembra ormai probabile che la ripresa del nostro Pil, iniziata a cavallo dell’estate del 2015, sia in rallentamento e, nonostante le misure imponenti di Quantitative easing della Bce per il 2016, la nostra crescita pare resterà abbastanza piatta. Le molte misure economiche promosse da questo Governo (80 euro, Jobs Act, 100.000 assunzioni nelle scuole, qualche taglio di Irpef e Tasi) sembrano non risvegliare la crescita economica come servirebbe. Perché?
Una possibile risposta la si può trovare guardando il tasso di meritocrazia del nostro Paese. Anche quest’anno il Forum della Meritocrazia ha diffuso il suo indicatore di meritocrazia (Meritometro) per il 2016, in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano, che si basa su 7 pilastri, tratti da indicatori internazionali (Libertà economica, Regole, Trasparenza, Educazione, Mobilità sociale, Pari opportunità, Attrattività dei talenti). Rispetto agli altri 11 paesi europei considerati (Finlandia, Norvegia, Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Germania, Gran Bretagna, Austria, Francia, Polonia, Spagna), l’Italia rimane in ultima posizione nel 2016 (lo si vede plasticamente nel primo grafico a fondo pagina), praticamente ferma (+0,06%) rispetto al 2015.
L’Italia ha poi il triste primato di essere ultima nel ranking riguardante tutti i pilastri. Le maggiori differenze rispetto alla media europea si riscontrano nei pilastri della trasparenza, delle regole, della libertà economica e delle pari opportunità. Il divario rispetto agli altri stati membri dell’Ue sta crescendo, come si vede nel secondo grafico: il nostro Paese, rispetto al 2015, si conferma in un’ultima posizione nel ranking europeo, con un punteggio di 23,4 con più di 40 punti di distacco dalla Finlandia (67,7), 20 dalla Francia (41,5) e quasi 30 dalla Germania (52,3); punteggio inferiore di oltre 16 punti della Polonia (39,6) e 12 punti della Spagna (35,1).
Che rapporto c’è tra meritocrazia e crescita economica? In un Paese in cui c’è poca meritocrazia le persone, le aziende e le istituzioni non sono incentivate e non hanno gli strumenti per attivarsi e quindi il sistema nel complesso non cresce. Ancora pesanti infatti sono i disincentivi per molti a mettersi “in moto”, mentre sempre forti sono gli incentivi a mantenere le proprie posizioni di rendita a causa delle ancora deboli e parziali liberalizzazioni e alla conservazione delle tante lobby che bloccano il cambiamento.
Cosa fare allora ? Il Paese ha fatto sicuramente qualche passo avanti in termini di selezione della classe dirigente e della classe politica e di tornare a investire in Istruzione (seppure in modo forse poco qualitativo), ma ora il cambiamento non è più solo questione di Leadership, ma di cambiare sensibilmente il nostro sistema di Regole e come vengono applicate. Proprio sul pilastro delle Regole il nostro Meritometro indica un peggioramento nel 2016. Le regole nel nostro Paese infatti non solo non vengono applicate in modo efficiente, ma sono spesso inique.
Cosa blocca il cambiamento? Essenzialmente il grosso potere conservativo della maggioranza della popolazione in Italia (e in Ue) ostacola un riassetto del sistema di regole che crei un sistema più equo e bilanciato. È successo così per il sistema pensionistico nel passaggio dal sistema retributivo al contributivo e nella diversificazione delle condizioni delle varie casse previdenziali (quasi tutte in perdita). È successo anche nel mercato del lavoro, prima con la Legge Biagi e ora con il Jobs Act, che si applica solo sui nuovi contratti di lavoro e non per tutti (si applicherebbe al pubblico impiego secondo una sentenza della Cassazione). Succede quando si chiede di poter fare più debito a scapito delle future generazioni. Succede poi quando non si liberalizzano i servizi pubblici locali e l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Tutto questo continua a produrre situazioni in cui persone e categorie sociali diverse sono sottoposte a regole più o meno vantaggiose. Perché impegnarsi in un gioco dove gli altri sono avvantaggiati dall’arbitro? Perché fare uno sforzo se tanto il mio avversario parte con le gambe legate?
Il Paese non crescerà quindi fino a che il dipendente pubblico non avrà le stesse regole del dipendente privato, fino a che il giovane o il commerciante non avrà gli stessi ritorni pensionistici dai propri contributi dei più anziani, fino a che l’azienda Y non avrà la stessa possibilità di avere un appalto dalla Pa dell’azienda Z e fino a che il lavoratore autonomo non avrà le stesse possibilità di lavorare per un’azienda del lavoratore dipendente, al Nord come al Sud. Troppe categorie hanno condizioni di lavoro e di vita diverse non per il proprio merito, ma per essere nate dopo, o in una particolare Regione del Paese, con il cognome Rossi invece che Bianchi, ecc.
Un altro fattore di scarsa meritocrazia segnalato dal Meritometro è la bassa attrattività per i talenti del nostro Paese. Si dice che ogni anno 100.000 giovani laureati lasciano il Paese contro poche migliaia che rientrano. Su questo fattore pesano la mancanza di investimenti significativi oltre al depotenziamento di alcune misure, come la legge 238/2010 sul rientro dei talenti.
Non è un caso che investiamo circa un centinaio di milioni di euro per riportare i talenti italiani dall’estero contro diversi miliardi di euro per trasformare i contratti a progetto in contratti a tutele crescenti per lavoratori in Italia come avviene con la decontribuzione per il Jobs Act. Non è il primo un migliore investimento in termini di crescita economica di qualità? Sembra una questione secondaria, ma attrarre giovani talenti dall’estero sarebbe uno dei modi più intelligenti di investire sul futuro e correggere quello sbilanciamento sociale, politico, demografico ed economico che minaccia il nostro Paese.
Purtroppo dobbiamo ancora dire che questo Paese non crescerà fino a che non ci sarà più meritocrazia (non solo nelle nomine) e fino a che non si faranno riforme delle regole e investimenti per tutti e non solo a favore di pochi. Fino a che non lo capiremo e non seguiremo questa strada, continueremo a fare riforme selettive e non generali e renderemo più difficile il cambiamento e la crescita.
Per il momento non possiamo quindi che applaudire i casi eccezionali di merito di aziende, scuole e persone che dimostrano che fare meritocrazia anche in Italia è possibile, sapendo però che da soli non possono fare “sistema”.