Beppe Grillo va all’attacco contro il ddl presentato da 25 senatori del Pd per modificare la legge 361/1967. L’idea è sostituire il principio di ineleggibilità con quello di incompatibilità. Il leader del M5S ha dichiarato, con la solita verve polemica, che “per gli amici del giaguaro, quelli che dovevano smacchiarlo, le leggi che lo riguardano non si applicano e, se si è costretti a farlo, si cambiano”. Ilsussidiario.net ha intervistato il professor Stelio Mangiameli.
Al di là delle polemiche di Grillo, qual è il vero significato del ddl sull’ineleggibilità?
In primo luogo il disegno di legge deve ancora passare al vaglio punto per punto del dibattito parlamentare. Il problema di fondo è che è interpretato dai principali commentatori, soprattutto del M5S, come una sorta di sostegno a Berlusconi. Ciò nonostante il fatto che l’attuale testo prevede che Berlusconi dovrà rinunciare alla proprietà di tutte le sue aziende per potere continuare a fare politica. Il Cavaliere non potrà vendere ai suoi discendenti o ascendenti fino al quarto grado.
Quindi non è vero che sarebbe un ddl salva-Berlusconi…
Ritengo che lo spirito del disegno di legge non sia questo, e che sia soltanto un modo per fare polemica politica contro Berlusconi e contro il Pd. Non c’era quindi una vera e propria scelta di aiutare Berlusconi.
Non è più logico affermare che il ddl vada contro il Cavaliere?
Esattamente. Il ddl fa riferimento al controllo anche per interposta persona, e prende in considerazione tutte le forme di gestione. Tra le altre ci sono quelle di rappresentante legale, amministratore, dirigente d’impresa. La conseguenza è che lo stesso Pier Ferdinando Casini finirebbe con il cadere in questa fattispecie, in quanto è parente acquisito di Caltagirone. L’incompatibilità scatta infatti ogni volta che si hanno imprese che abbiano rapporti contrattuali o negoziali di qualsiasi natura con la pubblica amministrazione, e l’azienda abbia un volume di affari di almeno 100 milioni di euro l’anno. Si ha inoltre interposizione di persona quando entrano in gioco il coniuge, il convivente di fatto, un parente fino al quarto grado, un affine fino al secondo grado. Ciò significa che in queste condizioni basta che uno sposi la figlia di un uomo ricco per ritrovarsi con un affine di secondo grado e non potersi candidare alle elezioni.
I vincoli posti non sono troppo restrittivi?
Di fatto il ddl punta a stabilire un’alternativa tra chi vuole fare l’imprenditore e chi vuole fare politica. Nei fatti però il testo della nuova norma è costruito abbastanza male. Nell’ipotesi in cui un politico abbia rapporti familiari con imprenditori di una certa consistenza si è indirettamente esclusi dalla politica, anche se non si hanno responsabilità dirette nell’azienda. Ma quello che non mi convince è soprattutto un altro aspetto…
E sarebbe?
Il ddl è stato elaborato senza affermare con chiarezza che si trattava di una legge sul conflitto d’interessi. Bisognerà quindi vedere se il Parlamento l’approverà nei termini in cui è stata scritta, o se invece penserà a ipotesi tipo “blind trust” in cui non ci sia sostanzialmente la perdita della proprietà, ma della gestione. Si possono ipotizzare diverse altre modalità per la soluzione del conflitto di interessi.
(Pietro Vernizzi)