Caro direttore,
ci sono cose che non capisco, e mi avvilisce non capire. Non capisco perché gli italiani, che finalmente hanno riscoperto la partecipazione, illudendosi con un voto di cambiare le cose, devono ritrovarsi al “prima”, come se il 4 dicembre il 68 per cento degli elettori avesse deciso di andare a fare un gita in montagna.
Non capisco perché, forti di un’incomprensibile superiorità morale, i perdenti abbiamo tacciato di populismo i vincitori, quando si sarebbe potuto usare semplicemente la parola popolo. Non capisco perché si siano disegnati foschi scenari post-elettorali che non si sono verificati, Apocalissi rimandate o ribaltate in slanci edenici.
Non capisco perché un presidente del Consiglio perdente abbia deciso di andar via, quando avrebbe avuto per responsabilità e senso del dovere potuto adempiere al compito suggerito dagli elettori, farsi latore di un cambiamento rapido ed efficace della legge elettorale.
Non capisco soprattutto perché, dicendo di andar via e formalmente traslocando i suoi scatoloni a Pontassieve, abbia per tutta la settimana diretto il traffico consultando, decidendo, spostando ministri come in un risiko governativo.
Non capisco perché abbia con poco rispetto delle sue prerogative scavalcato il Presidente della Repubblica, dicendo coram populo che si sarebbe dimesso prima che a lui, dichiarando su fb e newsletter varie ogni sua mossa futura prima che in un dialogo riservato e discreto, annunciandogli al telefono la scelta del suo successore, stabilendo la lista dei posti da piazzare come se lui, il Presidente, non dovesse far altro che annuire, ed eseguire gli ordini.
Non capisco perché Mattarella abbia accettato con serafica impassibilità lo sgarbo, dato che l’essere maggioranza di governo non esime dal seguire almeno apparentemente una forma, che come sempre accade è sostanza, ovvero l’intendere in forma personalistica il potere.
Non capisco come si possa chiamare maggioranza l’accozzaglia che maggioranza non è, essendo nata con altri protagonisti che hanno cambiato casa appena dopo l’ormai dimenticato esito elettorale che fu.
Non capisco come una persona sicuramente perbene come Paolo Gentiloni abbia accettato di farsi incastrare in un governo a tempo, sottomettendosi fin dal suo incipit all’imbarazzante encomio del leader. Non capisco se lo scopo sotteso e taciuto non suo, ma dei più, sia quello di arrivare almeno all’autunno, e oltre, per incassare la pensione, e francamente lo troverei umiliante.
Non capisco come si possa anche solo riproporre per coprire una casella ministeriale il nome di Meb, alias Maria Elena Boschi, che oltre ad aver mostrato prosopopea e altezzosità, ha elaborato una riforma claudicante e comunque bocciata. Sarà pur vero che non deve pagare lei sola, ma lei in primis, direbbe il buon senso.
Non capisco perché un ministro che ha lavorato tre anni a un dossier debba essere spostato o voglia spostarsi in un altro dicastero che certamente non conosce e dove dunque non potrà far bene, almeno non subito, almeno prima di aver imparato l’inglese.
Non capisco come si possa, avendo perso, esigere di dare un posto a Luca Lotti, di cui ignoro le competenze sportive. Non capisco perché Franceschini oltre a non aver incassato nulla più di quel che aveva, nonostante le quote nel partito, abbia accettato di vedersi decurtare un pezzo del suo ministero.
Non capisco dove sia finita la rottamazione, con le new entry delle Finocchiaro e delle Fedeli, e il punto non è che siano più o meno capaci, e perché loro, e perché adesso. Parrebbe per durare fino al 2018 e tenere buoni i riottosi di un pezzo di minoranza.
Non capisco come la minoranza del Pd accetti passivamente la zuppa, agitandosi inutilmente senza avere proposte concrete e limitandosi a covare vendette e improbabili rimonte, sul nulla.
Non capisco come il cupio dissolvi del centrodestra impedisca di unirsi e trovare un candidato alternativo e capace di giocarsela, senza cannibalismi reciproci tra forze minime.
Non capisco Verdini, quanto tempo gli serve e per cosa, e perché ha cambiato idea. Non capisco come l’unica forza di opposizione reale non abbia né voglia né capacità di governo, almeno a stare alla prova dei fatti locale.
Non capisco perché la gente sia oggi più rassegnata e delusa di ieri, più impotente e non capisco come resista a non arrabbiarsi sul serio. Non capisco in cosa la seconda repubblica sia stata migliore della prima. Non capisco quando può iniziare la terza.
Non capisco perché ancora non si riempiano le piazze, stavolta sì, pacificamente e con diritto, per essere ascoltati senza fingere che tutto accada perché nulla accada. Non capisco perché dopo sette mesi di campagna elettorale, un paese spaccato, una valanga di No l’unico risultato ottenuto sia quello di far fuori Stefania Giannini. Non era la sua l’unica riforma sbagliata. Non era lei, quella che da sola doveva pagare.
Non capisco perché non si provi vergogna. Non capisco perché a nessuno importi che la gente non capisca e s’indigni. Fino a quando, credono di resistere?