Ringrazio vivamente i lettori che hanno commentato i miei ultimi interventi. Non mi resta che contraccambiare, rispondendo alle loro richieste e svolgendo gli approfondimenti sulla questione cruciale del signoraggio primario e secondario.
Il signoraggio è di fatto il profitto che ottiene chi crea moneta. Si distingue in primario e secondario a seconda che si tratti della creazione fisica di monete e banconote (operata dalla banca centrale) oppure della creazione elettronica di moneta (operata da una banca commerciale). Il signoraggio primario corrisponde, ovviamente, alla differenza tra il valore “facciale” della banconota e il costo per produrla (carta e inchiostro).
Ma non basta, poiché chi produce le banconote, cioè le Banche Centrali, di fatto le immette in circolazione acquistando titoli di stato, che hanno un loro rendimento. Quindi, in concreto, per produrre una banconota da 100 euro, la banca centrale spende circa 3 centesimi di euro. Con questa banconota viene acquistato un titolo di stato, dal rendimento (supponiamo) dell’1%. Il reddito da signoraggio primario è quindi pari 100+1%-0,03=101-0,03=100,97 euro.
Dove finisce questo lucrosissimo profitto? Per la maggior parte sparisce nei bilanci delle Banche Centrali, poiché esse, secondo un’antica consuetudine, mettono al passivo le “banconote in circolazione”, facendo risultare come reddito da signoraggio solo la parte di rendimento del titolo acquistato.
Come già osservato, questa pratica aveva senso un tempo, quando il banchiere produceva una “nota di banco” (antenata della odierna banconota) e riceveva una corrispondente quantità di oro. Ma oggi, perso ogni legame monetario con l’oro, questa pratica contabile non ha più senso. E qui non si tratta di auspicare un ritorno all’oro depositato, poiché la moneta ha davvero una qualità diversa, che la rende totalmente altro rispetto a un qualsiasi materiale prezioso.
La vera moneta da un punto di vista legale è una convenzione; da un punto di vista sociologico è l’emergere di una fiducia sociale, che si afferma con l’accettazione collettiva e personale di uno strumento monetario, atto a misurare il valore dei beni e facilitare gli scambi commerciali. Si accetta moneta contro merci, perché si ha la certezza morale di poter ottenere in futuro merci in cambio della moneta accettata.
Da questa descrizione risulta evidente che lo strumento monetario è portatore di una potenzialità di valore, un valore positivo, un valore attivo. La scrittura della moneta tra i passivi del bilancio è prima di tutto un’azione che non descrive la realtà. Se così è la regola, andrà cambiata la regola.
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Come la Banca d’Italia giustifica questa scrittura contabile? La giustifica definendo il signoraggio in questo modo: “Per signoraggio viene comunemente inteso l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione di moneta. Con riferimento all’euro, il reddito da signoraggio generato dall’emissione della moneta è definito come reddito originato dagli attivi detenuti in contropartita delle banconote in circolazione e viene ricompreso nel calcolo del reddito monetario che, secondo l’articolo 32.1 dello Statuto del SEBC, è ‘il reddito ottenuto dalle Banche Centrali Nazionali nell’esercizio delle funzioni di politica monetaria del Sistema Europeo delle Banche Centrali’”.
Per la verità, chiedere alla Banca d’Italia cos’è il signoraggio è come chiedere all’oste se il vino è buono; in questo caso, la Banca d’Italia ci conferma che il vino è buono perché lo dice pure il vignaiuolo (il SEBC, cioè il Sistema Europeo delle Banche Centrali). In ogni caso, secondo questa definizione, il signoraggio, di fatto, è il reddito che si ottiene dai rendimenti di investimenti in titoli, di stato e non. Quindi una modesta percentuale della moneta prodotta. Ora, con tutta la buona volontà, se Bankitalia ha i suoi onesti profitti dai rendimenti dei titoli acquistati, dovrebbe anche farci sapere da dove viene il denaro con cui acquista questi titoli. E dovrebbe dircelo nel bilancio.
Al contrario, il volume “Economia Monetaria” di Bagliano e Marotta (Il Mulino, pag. 18), riporta invece: “In linea di principio, la creazione di base monetaria in condizioni di monopolio dà la possibilità alla banca centrale di ottenere redditi (il cosiddetto signoraggio) pari alla differenza tra i ricavi ottenibili dall’investimento in attività finanziarie e reali e i (trascurabili) costi di produzione”.
Quindi, secondo gli autori, la differenza non è tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita dei titoli (cioè il nostro1% nell’esempio di sopra), ma tra il ricavo e il costo di produzione della moneta (cioè inclusi i 100 euro nell’esempio di sopra). La cosa veramente simpatica (o ridicola, fate voi) è che la pagina di Wikipedia in cui viene definito il signoraggio riporta entrambe le citazioni, e poi l’ignoto estensore di quella pagina prosegue come se le due citazioni dicessero la stessa cosa:
“Il signoraggio derivante dall’emissione diretta di moneta da parte dello stato viene incassato da questo, mentre quello derivante dall’emissione di moneta da parte della banca centrale viene in parte prelevato dallo stato, sotto forma d’imposta, e il rimanente resta alla banca centrale, dove viene utilizzato per coprire i costi di funzionamento e, per l’eventuale parte eccedente, costituisce utile netto”. La frase lascia chiaramente intendere che lo stato, in entrambi i casi, prende la gran parte dei profitti. Invece, nel caso delle banconote della Banca d’Italia, il valore della banconota sparisce tra i passivi del bilancio.
La confusione culturale è tale che la stessa Banca d’Italia vi contribuisce. Nella sua definizione di “Funzione di emissione” afferma letteralmente che essa “produce il quantitativo di banconote assegnatole, […] immette le banconote in circolazione e provvede al ritiro e alla sostituzione dei biglietti deteriorati”. Quindi, per ammissione della stessa Banca d’Italia, la funzione di emissione comprende la produzione, ma di tale produzione nel bilancio non c’è traccia.
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Ma veniamo al sodo. Proprio la differente contabilizzazione tra Banca Centrale e Stato rende evidente l’applicazione di un’ideologia contro l’applicazione del buon senso. Infatti, nel bilancio dello stato la produzione delle monetine viene messa tra gli attivi. Mentre nel bilancio della Banca d’Italia (la Bce fa lo stesso), le banconote appaiono solo al passivo, sotto la voce “banconote in circolazione”.
La schizofrenia ideologica appare ancora più evidente se si tiene conto dei numeri. Dal bilancio della Banca d’Italia del 2009 pubblicato pochi giorni fa (pag. 345) sappiamo che lo Stato incassa circa un miliardo di euro (l’utile è stato di 1,6 miliardi) come reddito da signoraggio su un circolante di oltre 130 miliardi di euro. Ma dal signoraggio per la produzione delle monete, lo Stato ha messo in bilancio circa 154 milioni, su un circolante di circa 3,8 miliardi di euro. In altre parole, il signoraggio sulle banconote ha fruttato il 7 per mille del circolante (contando l’acquisto di titoli), mentre il signoraggio sulle monete ha fruttato il 4 per cento delle monetine in circolazione (semplice produzione).
E pensare che questo anno passato è stato straordinariamente fruttuoso. Nell’esercizio 2007, il signoraggio riconosciuto dalla Banca d’Italia ha fruttato allo Stato appena 57 milioni di euro. Rispetto ai 110 miliardi di euro di banconote circolanti di allora, una vera elemosina, pari allo 0,052%. Ma la vera posta in gioco non è tanto un mancato o minore profitto per lo Stato, cioè per tutti noi. Occorre ricordare e tenere presente cosa è in realtà la moneta. La moneta è anche un fenomeno sociologico che induce un comportamento. Il comportamento indotto è quello di accettare moneta in cambio di merce, nella convinzione di poter ottenere merce in cambio di moneta.
Nei moderni sistemi monetari, tutta la moneta circolante è a debito, un debito che grava su tutta la comunità che utilizza quella moneta. Poiché si tratta di un ambiente chiuso, alla fine tutti i maggiori debiti si caricheranno sullo stato, poiché lo stato è l’unico soggetto (nei limiti di uno sviluppo crescente, ma anche perché non vi sono alternative) autorizzato a indebitarsi indefinitivamente.
Un debito sempre crescente richiederà sempre nuova moneta, che farà crescere ancora di più il debito. Prima o poi arriva la crisi. E proprio nei momenti di crisi, il peso dell’elemento sociologico della moneta diventa determinante. Il debito sempre crescente dello stato induce a un comportamento: la vendita dei beni dello stato. Le chiamano privatizzazioni, ma molto spesso si tratta di svendere non solo un bene pubblico, ma soprattutto un potere che dovrebbe essere in mano a pubbliche autorità. Uno degli esempi più significativi è l’assegnazione della raccolta dei tributi a ditte private.
Una cosa è certa: se la moneta fosse stampata dallo stato e se tutti fossero certi che lo stato stamperà moneta, qualora fosse necessario per il bene comune, nessuno penserebbe di privatizzare compiti e funzioni che sono tipicamente statali, cioè quei compiti e quelle funzioni che implicano la gestione del bene comune.
E veniamo al signoraggio secondario. Tale signoraggio è il reddito che viene conseguito da una banca commerciale, tipicamente quando presta della moneta. Chiariamo questa possibilità con un esempio. Il cliente A deposita 20mila euro presso la banca. Ora nella banca risultano depositati 20mila euro.
Il cliente B entra in banca e chiede un prestito. La banca valuta i propri depositi (olte alle garanzie offerte dal cliente B) e concede un prestito di 16mila euro. Il cliente B, ottenuto il prestito, spende il denaro con un cliente C, il quale, incassati i 16mila, li deposita in banca. Ora nella banca risultano depositati 36mila euro. I depositi sono cresciuti di 16mila euro, grazie al prestito effettuato dalla banca. Questa modalità di creare moneta (con l’ausilio di moneta depositata da altri) è detta signoraggio secondario, il quale consiste nel reddito da interessi su denaro creato dal nulla.
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Quali sono i punti deboli di questi processi monetari? Perché non può funzionare un sistema in cui si paga un debito passato con un debito sempre crescente, da pagare in futuro? Se ha funzionato fino a oggi, perché non può continuare a funzionare?
Anzitutto occorre rispondere che il sistema non funziona. Se la crescita economica impetuosa di un paese, sostenuta da un eccesso di liquidità, può temporaneamente nascondere il problema, questo in ogni caso non tarda a manifestarsi nei suoi tre elementi tipici: stagnazione economica a causa di una rarefazione monetaria (la moneta viene spostata nei mercati finanziari), disoccupazione crescente, aumento della differenza di benessere economico e sociale tra i pochi molto benestanti e la gran parte della popolazione. E siamo alla recessione. Un continuo alternarsi di bolle speculative e crisi recessive, questo sembra essere il nostro destino.
Ma vediamo meglio le cause per cui tale sistema non può funzionare. Le cause principali sono due. La prima si fonda sulla presunta efficienza del mercato. Tale presupposto è puramente ipotetico, nella realtà il mercato economico è denso di punti di inefficienza, che dipendono dalle peculiarità del territorio locale. In tali contesti, la rarefazione monetaria e la difficoltà a far circolare la moneta può provocare più facilmente il collasso del sistema economico.
La seconda causa è la tipica confusione di questi tempi, quella per cui gli interventi a sostegno della liquidità di Bernanke (Fed) e Trichet (Bce) risultano inutili e risulteranno dannosi. La confusione è tra liquidità e moneta. Le Banche Centrali hanno stampato moneta per fornire liquidità, preparando così le condizioni ideali per la famosa “trappola della liquidità”. Infatti le stesse Banche Centrali contano di ritirare la liquidità fornita in eccesso con opportune manovre sui tassi e interventi sul mercato aperto. Ma non si rendono conto (o fanno finta di non sapere, non so cosa sia peggio) che non hanno alcun mezzo per impedire alla liquidità di ridiventare moneta nel momento meno opportuno, preparando così le condizioni per una iperinflazione distruttiva.
Proprio in questo sta la qualità distruttiva della moderna definizione di signoraggio. L’antico signoraggio creava moneta, cioè una vera ricchezza, che si manifestava nella circolazione della stessa moneta. Lo dice una bellissima frase del volume “Fine della finanza” (Amato-Fantacci, Donzelli Editore, pag. 216). “Nella misura in cui consente alla moneta di circolare, ciò che questo signoraggio realizza è un guadagno pubblico a cui non corrisponde la perdita privata di nessuno”.
Con il moderno signoraggio, non solo non viene riconosciuto il “guadagno pubblico”, ma addirittura la moneta prodotta viene addebitata, impegnando così il futuro (possibile) sviluppo. Infatti, il concetto di liquidità, a ben pensarci, è l’esatto contrario di quello di moneta. La moneta, per essere veramente tale, deve circolare effettivamente. Al contrario, il concetto di liquidità, implica uno strumento che ha la potenzialità di potersi trasformare in qualsiasi merce o altro strumento finanziario. Ciò che è liquido, per definzione “è pronto per”, quindi è in una posizione di eterna attesa. È statico. Non circola. Moneta e liquidità sono l’una l’opposto dell’altra.
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La confusione in questa materia è tale che la vediamo riproposta proprio in questi giorni. Venerdì abbiamo avuto una caduta delle borse per il diffondersi di voci sul possibile default dell’Ungheria. I giorni successivi tutti abbiamo visto in televisione servizi dall’Ungheria in cui cittadini ungheresi tentimoniavano il fatto che di questa crisi non vedono alcuna traccia.
Moneta e liquidità vengono confuse continuamente, come se fossero la stessa cosa, solo per il fatto che entrambe si chiamano euro. Eppure, proprio questa confusione potrà generare il disastro: il crollo dello stato e del sistema bancario, a causa di insormontabili difficoltà finanziarie, difficoltà di liquidità, non dell’economia reale.
Ma moneta e liquidità stanno sullo stesso supporto, stanno sulla stessa convenzione, stanno sulla stessa moneta: l’euro. Questa è la grande ambiguità non risolta; o meglio, già risolta in partenza, perché tutti gli elementi di potenza sono a favore della liquidità, contro la moneta come strumento di circolazione dei beni. E questa ambiguità trova la sua forza nel principio fondante il nichilismo moderno, quello che definisce la proprietà privata come il potere personale di fare dei miei beni ciò che mi pare e piace.
Un principio assoluto e intoccabile, esattamente il contrario di quanto affermato dalla dottrina sociale della Chiesa: “La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto e intoccabile è […]. L’insegnamento sociale della Chiesa esorta a riconoscere la funzione sociale di qualsiasi forma di possesso privato” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 177-178).
Al contrario, il moderno nichilismo economico, stabilito il suo dogma sulla proprietà privata, non può far altro che propagandarlo ossessivamente: tanto più in tempi di crisi, sarà ossessiva e violenta la propaganda, fondando tutta la sua pressione su un “ce la faremo” che è un insieme di ottimismo e di volontà, ma privo di ragioni. Si, d’accordo, ce la faremo: ma a fare che cosa?
Così commentano Amato e Fantacci, nel volume già citato: “Se farcela significa questo, la fiducia, anzi la fede, su cui da sempre si basano i mercati finanziari non è fondata su nient’altro che sulla volontà di averla. Una fede così fatta è però a tutti gli effetti una fede totalitaria, ossia una fede che non ammette dubbi da parte di nessuno […], una fede nichilista, a cui corrisponde un ben preciso nichilismo istituzionale” (pag. 262). E questo è un altro tassello di quella “religione di Bankitalia” di cui abbiamo già parlato in un altro articolo.
Ora che abbiamo analizzato la questione del signoraggio, siamo pronti per vedere qualche caso concreto. Siamo pronti per una breve analisi sulla situazione economico-monetaria della Svizzera.