Doveva arrivare entro giugno, il nuovo redditometro, e infatti è arrivato. Via posta prioritaria, direttamente nella cassetta postale di centinaia di migliaia di italiani, con una lettera firmata nientepocodimenoche dal direttore dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera. Che, in pieno rebus da Imu, modelli «semplificati», 730 e dichiarazione dei redditi varie, ha avvertito fortemente l’esigenza di informare quelle migliaia di «gentili contribuenti» che i conti non tornano.
Dichiarazione dei redditi del 2011 alla mano, Attilio Befera in persona, la cui firma autografa sostituita a mezzo stampa ai sensi dell’art. 3 comma 2 del Decreto legislativo n.39 del 1993 suggella la inquietante missiva, avverte il «gentile contribuente» che «risultano alcune spese apparentemente non compatibili con i redditi dichiarati». Befera (in persona, ai sensi del succitato decreto) cita l’esempio di «acquisto di imbarcazioni da diporto», ma anche quella di autovetture o addirittura le «spese per lavoro domestico«. Ma l’elenco delle «spese significative» che secondo il nuovo redditometro possono far sentir puzza di bruciato all’Agenzia delle Entrate è assai più lungo e include un centinaio di voci suddivise in sette capitoli: abitazione, mezzi di trasporto, assicurazione e contributi, istruzione, tempo libero e cura della persona, nonché le immancabili «altre spese» e gli «altri investimenti».
A far scattare l’allarme è la constatazione che le uscite superano per almeno un quinto (il 20%) le entrate dichiarate. Un punto saldo, purtroppo, dei bilanci delle famiglie italiane in questo drammatico periodo di crisi. Oltre al danno, verrebbe da dire, c’è la beffa. Peccato, però, che non ci sia nulla da ridere. Perché l’Agenzia delle Entrate, con spietatezza, verrebbe da dire, ma non lo diciamo per timore di ritorsioni, e comunque con l’idea che tutto quello che esce debba entrare da qualche parte (ma il percorso non era inverso?), finge di non sapere che tutti, o quasi, stiamo dando fondo ai nostri risparmi per poter sopravvivere. E che gli italiani, in quanto a risparmio accumulato, non hanno niente da imparare da nessuno, quindi, ancora per un po’, ce la possono fare, se nessuno si mette di traverso accusandoli, neanche troppo fra le righe, di incassare dei redditi e non dichiararli. Senza contare che alcune cose non si devono dichiarare. Non si dichiarano i propri risparmi (tanto l’Agenzia può andare a ficcanasare nei conti correnti senza dover chiedere nulla a nessuno). Non si dichiarano gli aiuti ricevuti dai propri genitori. Non si dichiarano i soldi ricevuti dopo essersi venduti i gioielli di famiglia al banco dei pegni. Non si dichiarano neppure gli incentivi all’esodo, così in voga da qualche tempo a questa parte.
Così la lettera è arrivata anche a quasi tutti quelli che nel 2010 (il periodo d’imposta considerato) hanno dato fondo ai propri risparmi dando l’anticipo per comprare, a metà con la fidanzata, la prima casa, e non contento si è pure accollato un mutuo (cointestato, perché solo la fidanzata ha il posto fisso) nella speranza di riuscire a pagarla tutta, prima o poi. E ai licenziati che hanno approfittato della liquidazione per togliersi probabilmente l’ultima soddisfazione della loro vita, cambiando una automobile magari vecchia di 20 anni. Ma anche alle vedove con la pensione minima che si sono permesse di pagare, oltre all’affitto, la bolletta della luce (eh sì: anche le utenze domestiche rientrano nel redditometro, quindi attenzione a quante lavatrici fate). E ai precari cinquantenni che hanno assunto una badante, pagandola con i soldi della pensione dell’anziano genitore legalmente incapace, intestando a se stessi (obbligatoriamente, data l’incapacità del beneficiato) il contratto di lavoro. Per non parlare degli studenti universitari che, mantenuti lontano da casa dai genitori, risultano aver pagato affitti e rette scolastiche che non avrebbero potuto permettersi.
L’elenco è lungo, perché in cento voci, capirete, i solerti funzionari dell’Agenzia delle Uscite sono riusciti a infilare di tutto: gli arredi acquistati (attenzione quando andate all’Ikea, può essere pericoloso), le spese per il veterinario (Fido dovrà soffrire in silenzio), la palestra, le spese per le ristrutturazioni, le bollette, il corso di nuoto per i figli, la retta dell’asilo nido e perfino l’abbonamento alla pay-tv. Se non è un incentivo a pagare in nero questo, poco può esserlo altrettanto.
«Sarà efficace, di facile utilizzo», aveva detto il direttore dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera a marzo. Efficace non sappiamo, di facile utilizzo sicuramente, se basta una sottrazione (spese effettuate – redditi dichiarati) per stanare l’infido evasore e avvertirlo amichevolmente che può aspettarsi da un momento all’altro una verifica fiscale ufficiale. Già, perché la lettera, dopo aver terrorizzato il «gentile contribuente» con la segnalazione delle specifiche spese per le quali ha attirato l’attenzione (che suona un po’ come un «ti teniamo d’occhio, gentile contribuente»), avverte che «l’Agenzia delle Entrate… procederà ai necessari approfondimenti» e che «le potrà essere chiesto di dimostrare che la quota spese eccedente per almeno un quinto il reddito complessivo dichiarato sia stata finanziata con redditi diversi da quelli posseduti nel 2010, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile». Se però non avete conservato gli estratti conto della banca, e soprattutto il filmato in cui si vede vostro padre allungarvi qualche migliaio di euro (nel 2010, quando il limite al trasferimento di contanti era ben diverso dall’attuale), beh, allora, buona fortuna.
Al «gentile contribuente», qualora non ancora stramazzato al suolo dallo spavento, verrebbe da ribattere e spiegare come ha fatto a effettuare quelle spese. Ma non si può: il dialogo è a senso unico. «Questa comunicazione – si legge, ben evidenziato in grassetto e per sovrapprezzo pure sottolineato – ha finalità esclusivamente informative e pertanto non è necessaria, da parte sua, alcuna risposta». E allora perché inviarla, se non per il gusto di aggiungere ancora un po’ di altra carne al fuoco del già tartassato (è proprio il caso di dirlo) «gentile contribuente»?
In realtà il motivo c’è, ed è chiaramente spiegato in fondo alla lettera. «La invitiamo a considerare il contenuto di questa comunicazione anche ai fini della dichiarazione 2012, valutando la compatibilità delle spese effettuate lo scorso anno con il reddito complessivo da dichiarare», conclude la missiva. Ma non è una minaccia: è un avvertimento.