Domenica, in prima pagina de Il Corriere della sera, Sergio Rizzo ha ripreso la relazione della Corte dei Conti sulla gestione del 5 per mille resa pubblica come anticipazione da Vita.it il 5/12/13 e in forma integrale il 4/1/14. Nonostante Rizzo avesse tutto il tempo per studiarsi il documento dei magistrati contabili (di 122 pagine, ma la sintesi è di sole 2), lo ha fatto malamente come un giornalista alle prime armi e pigro, che cioè non riesce o non vuol capire quello che la Corte davvero dice. La relazione della Corte, è arrivata dopo numerose audizioni, un lavoro lungo mesi e un malessere diffuso per la gestione della norma di sussidiarietà fiscaleA tema l’urgenza di una regolazione stabile di una norma che procede a colpi (a scoppio sempre ritardato) di decreti di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri e coperture decise di anno in anno con le leggi di stabilità.
Già, perché il problema non sono i 21 decreti e/o regolamenti che cambiano le regole di anno in anno (Rizzo, leggi bene, il problema non sono le 21 leggi), ma il fatto che il 5 per mille è norma “sperimentale” da ben sette anni e nonostante un’ampia convergenza parlamentare e le promesse d’impegno anche di chi oggi è al Governo (Lupi e Letta impegnati nella precedente legislatura nell’Intergruppo per la Sussidiarietà), tale norma non è mai stata stabilizzata.
Così nel 2010 e 2011, accusa persino la Corte dei Conti, lo Stato ha scippato ben 172 milioni dalla cifra decisa dai contribuentida indirizzare a volontariato e ricerca scientifica e uno scippo è già certo anche per l’esercizio 2012 e 2013, perché la copertura prevista dalla legge di stabilità è di 400 milioni, una ottantina in meno dallo storico indicato dai cittadini-contribuenti. Inoltre, come il buon senso indica, oltre che la Corte, le regole che cambiano di anno in anno, il mancato controllo, i ritardi e le inefficienze generano pasticci e danno la stura a chi si approfitta della confusione o addirittura la promuove.
Ora, arrivare dopo due mesi, come fa Rizzo, per scoprire l’acqua calda (ovvero che le Fondazioni di partito possono percepire il 5 per mille) è operazione monca, giacché Rizzo non dice del poco o pochissimo che raccolgono vista la scarsa fiducia di cui godono (per dire, Fondazione italianieuropei, la più scelta dai contribuenti, raccoglie solo 138 firme per 8.200 euro!) e che guarda il dito piuttosto che la luna, ovvero il problema. Un’operazione perciò di pura retorica e non di informazione.
A beneficio di tutti, e in particolare de Il Corriere e di Sergio Rizzo, ri-pubblichiamo almeno la sintesi della Relazione della Corte a disposizione di tutti e anche dei giornalisti seri. La restituiamo in punti a beneficio dei più pigri.
Cos’è il 5 per mille – L’istituto del 5 per mille rappresenta un’apertura di credito nella capacità del privato sociale di farsi interprete di istanze solidali e mutualistiche e un tentativo di introdurre una forma di democrazia fiscale all’interno dell’ordinamento italiano.
La mancanza di una legge e di regole certe – Peraltro, la sua mancata stabilizzazione attraverso una legge organica – in grado di garantire la certezza delle risorse nel corso di un arco temporale ragionevole e la definizione di tempi certi per l’erogazione dei fondi, al fine di permettere ai beneficiari di programmare, con congruo anticipo, le attività – ha prodotto inefficienze e inutili appesantimenti burocratici. Il quadro normativo dell’istituto risulta confuso e inadeguato al possibile nuovo ruolo istituzionale del privato sociale. Inoltre, le attività di coordinamento, controllo e garanzia delle amministrazioni interessate appaiono ancora insufficienti, così come la loro capacità di favorire le autonome iniziative dei cittadini. Il tetto di spesa annuo è in contrasto con le determinazioni dei contribuenti, riducendo, di fatto, la percentuale del contributo.
I ritardi nelle erogazioni – dovuti alla pluralità di amministrazioni coinvolte, con scarso coordinamento tra loro, e a disfunzioni interne a ciascuna di esse – sono causa dell’incertezza sulla disponibilità delle risorse per i beneficiari. Il ricorso alle convenzioni – peraltro, non ancora stipulate per gli anni successivi al 2010 – fra il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e l’Agenzia delle entrate appare un modello organizzativo dispendioso, motivo di conflittualità e di allungamento dei tempi.
L’analisi delle rendicontazioni procede lentamente e in maniera assai laboriosa, anche a causa dello scarso raccordo e dell’assenza di flussi informativi essenziali per il suo svolgimento tra i Ministeri e l’Agenzia delle entrate.
Correzioni richieste – L’attuale disciplina agevola, di fatto, gli organismi di maggiori dimensioni e più strutturati. Ciò è dovuto alle maggiori capacità organizzative, alle superiori disponibilità finanziarie e alle migliori capacità di competizione per ottenere la sottoscrizione dei contribuenti.
Peraltro, l’attribuzione delle risorse in base alla stretta capacità contributiva fa sì che alcuni enti che possono raccogliere il favore di optanti abbienti ottengano, anche con un basso numero di scelte, somme assai rilevanti. Inoltre, altri, con un numero di scelte minime, ricevono importi notevoli, per il fatto di essere sostenuti da contribuenti assai facoltosi. Ciò può produrre effetti distorsivi, rischiando di piegare un istituto di rilevanza sociale a finalità egoistiche e personali.
Al fine dell’ammissione al beneficio degli organismi del volontariato, sono esclusi gli enti con personalità giuridica di diritto pubblico. Ciò non sembra del tutto coerente con le finalità dell’istituto, tenendo conto che, per altre categorie – ricerca scientifica, ricerca sanitaria, Comuni – la natura pubblica non osta all’attribuzione.
Per il finanziamento delle attività sociali svolte dai Comuni di residenza, la differente capacità fiscale dei contribuenti sul territorio nazionale fa sì che i Comuni più ricchi possano beneficiare, in proporzione, di maggiori introiti, senza alcun meccanismo di perequazione o coordinamento.
Per gli enti di sostegno alle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici non è prevista la scelta da parte dei contribuenti. Ciò suscita perplessità, in quanto la mancata opzione è in contrasto con la ratio dell’istituto, venendo attribuita all’amministrazione, in definitiva, la determinazione dei destinatari. Inoltre, l’esclusione degli enti di diritto pubblico appare arbitraria ed irrazionale, in quanto la scelta dei contribuenti si riferisce all’attività in sé di tutela, promozione e valorizzazione.
Trasparenza – Deve essere migliorata la trasparenza dei dati inseriti sulla rete web. Infatti, spesso, non sono identificabili i beneficiari, a causa dell’assoluta genericità nell’indicazione di essi. Inoltre, non vengono pubblicati i dati aggregati dei contributi ottenuti dagli enti presenti in più elenchi. Infine, per gli enti di sostegno alle attività a favore dei beni culturali e paesaggistici non viene comunicato il contributo ricevuto.
La percentuale degli optanti fra coloro che non presentano la dichiarazione dei redditi è minima e, pertanto, risulta disincentivata la contribuzione al 5 per mille di un rilevante numero di persone, generalmente quelle a più basso reddito. Nessuna scelta è possibile per i milioni di cittadini che non pagano l’Irpef e che, pertanto, sono esclusi da tale forma di partecipazione.
Sussiste un conflitto di interesse di numerosi enti che, anche indirettamente, gestiscono i Centri di assistenza fiscale e sono potenziali beneficiari del 5 per mille.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è stato il solo a sottoporre la gestione del 5 per mille al controllo interno. Tuttavia, la valutazione del risultato appare del tutto autoreferenziale, mancando l’apporto valutativo-correttivo dell’organismo a ciò deputato e il riscontro sull’efficacia dell’intervento.