L’indignazione di Giorgio Napolitano è quella di tutte le persone per bene e di buon senso. Le parole di Roberto Calderoli sono la classica goccia che fa traboccare il vaso. Prima vengono le minacce a Mara Carfagna e l’incendio al liceo romano “Socrate”, simbolo della lotta all’omofobia. Ma in questo caso è il vicepresidente del Senato ad avere paragonato un ministro della Repubblica a un orango, davvero troppo persino per chi ha visto scontri durissimi (e non solo verbali) nelle aule parlamentari.
Ma non c’è solamente lo sdegno per l’imbarbarimento della vita civile che il Quirinale ha voluto sottolineare tempestivamente. C’è anche un caso politico soltanto all’inizio che potrebbe avere conseguenze imprevedibili. Il primo effetto del caso Calderoli-Kyenge è quello di ricompattare un partito diviso su tutto, persino su un caso spinoso e che preoccupa Palazzo Chigi come quello della moglie del dissidente kazako Ablyazov. Per un giorno tutti con Letta che parla di uscita inaccettabile che supera ogni limite.
E c’è da vedere se le scuse telefoniche del leghista alla prima ministra italiana di colore eviteranno uno scontro frontale nell’aula di Palazzo Madama, dove in molti si stanno organizzando per chiedere le dimissioni dalla vicepresidenza dell’aula. In questo potrebbero saldarsi grillini, Sel e gran parte del Pd, dando sfogo a quel sentimento contrario all’alleanza con la destra che è sempre più evidente fra le fila democratiche e che in Senato affiora a ogni piè sospinto, come dimostra la recente proposta di legge Mucchetti sull’incompatibilità e sul conflitto d’interessi. Del resto le dimissioni di Calderoli le chiedono in tantissimi, Zanda, la Finocchiaro, Cuperlo, Pittella, la Moretti, la Turco, l’altra vicepresidente Fedeli e naturalmente Epifani. Un’unità così non si vedeva da settimane, in un partito percorso da brividi e sospetti nell’apprendere che Matteo Renzi è stato ricevuto da Angela Merkel alla Cancelleria di Berlino quasi fosse un capo di Stato.
Arbitro delle sorti di Calderoli potrebbe paradossalmente essere il Pdl, che potrebbe avere interesse a che le tensioni interne al Pd si scarichino sul loquace ex ministro delle Riforme. Meglio su quello che sull’ineleggibilità di Berlusconi, potrebbe essere il retropensiero di qualcuno a via dell’Umiltà o a Palazzo Grazioli. Del resto, fra Pdl e Lega il barometro dei rapporti punta decisamente al brutto negli ultimi giorni. Lo ha indicato senza ombra di dubbio la gelida dichiarazione dei coordinatori berlusconiani delle tre regioni del nord, Lombardia, Veneto e Piemonte, che rinfacciano a Maroni di aver derubricato a vicende personali le questioni giudiziarie di Berlusconi.
Per il Pdl sono invece accanimento contro il proprio leader, e Maroni viene richiamato a dimostrare più spirito di collaborazione, quello stesso che il Pdl dimostra quotidianamente sostenendo lui, Zaia e Cota. Un avvertimento in piena regola e senza precedenti, che alla vigilia della sentenza della Corte di Cassazione sul processo Mediaset stende ombre sinistre sulla solidità dell’alleanza fra azzurri e Carroccio.
Ultimo effetto collaterale dello scontro Calderoli-Kyenge potrebbe essere quello di fare chiarezza proprio dentro il Carroccio. L’ex titolare delle Riforme, considerato anni addietro bossiano di ferro, è riuscito a riconvertirsi in maroniano, anche i rapporti fra i due Roberti hanno conosciuto alti e bassi. Calderoli ha conservato sinora il ruolo di responsabile organizzativo e del territorio, funzione grazie alla quale ha sempre gestito la complessa macchina di uno dei pochi partiti che abbia ancora un radicamento reale.
Adesso Maroni si trova di fronte a un bivio: sostenere a spada tratta il senatore bergamasco, oppure voltare decisamente pagina e imprimere un’accelerazione alla costruzione della sua Lega 2.0, nella quale ha sempre assicurato che gli elmi con le corna ed il folklore celtico dovevano essere relegati alla bacheca dei ricordi. La prima difesa di Calderoli è stata tiepida, dalle scelte che farà il segretario/governatore si capirà qualcosa di più dei rapporti di forza dentro il Carroccio.