Ma come potrebbero mai riuscirci, gli analisti della Banca mondiale, a capire qualcosa di noi italiani, quando ci collocano sempre nella seconda metà della classifica dei Paesi più avanzati? O quelli del World economic forum, che ci piazzano al 38esimo posto, dopo il Kazakhistan? Impossibile: siamo incomprensibili, esuliamo dai criteri statistici, scompaginiamo i parametri, facciamo saltare i termometri, siamo come quegli aerei invisibili che eludono i radar.
Una riprova? Arriva da Caltanissetta, ed è talmente bella e surreale che sembrerebbe una fake-news – ma sì, quelle che secondo i renziani fabbrica Putin dalla mattina alla sera per far perdere le elezioni al ragazzaccio di Rignano -, ma non lo è, visto che l’ha pubblicata con tanto di nomi e cognomi La Repubblica, quindi è un prodotto partorito da quella razza in via di estinzione degli informatori professionali, i giornalisti, che in fondo danno molto fastidio, e quindi se tramonta chissene.
Ma vediamo i fatti. La Guardia di finanza di Caltanissetta, sezione di Gela, ha notificato a due cittadini gelesi – Emanuele Brancato ed Emanuele Di Stefano – una notifica di pagamento di ben 20 mila euro di tasse arretrate. E fin qui, niente di strano. Ma sapete perché gliel’ha notificato? Perché questi due sono sotto processo per spaccio di stupefacenti, e secondo le indagini dei finanzieri hanno guadagnato più di 50 mila euro, e quindi ne devono pagare 20 mila di tasse. E hanno anche motivato la richiesta, con lo stile di un film di Nanni Loy, citando l’articolo 53 della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Come dire: più spacciate, più tasse pagate. Per il fisco, un potenziale affarone!
Le cronache aggiungono che i due, dichiaratamente nullatenenti, in realtà vivevano nel lusso: “cavalli, case sfarzose zeppe di arredi in oro, scuola di maneggio per i figli”. Tanto che allora viene da chiedersi: ma non è che guadagnavano molto ma molto di più dei 50 mila euro presunti? No, perché a fare due conti, a dividere appunto per due quei 50 mila, col cavolo che ci paghi tutta quella roba, anche se vivi a Gela ti devi accontentare di due camere e cucina, altro che scuderie. Ma tant’è.
La tragicommedia continua nella difesa dell’avvocato Giacomo Ventura, patrocinatore di uno dei due, il quale, giustamente, si richiama al fatto che il processo nel quale i due dovranno essere giudicati dell’accusa di spaccio è ancora in corso: e dunque, fin quando non saranno condannati in giudicato da una corte penale, a che titolo dovrebbero pagare tasse sui proventi del loro delinquere se questo delinquere non è stato accertato? Come dargli torto? Però l’avvocato va oltre e annota: “Così facendo, si dà una sorta di legittimità a questi redditi”. E anche qui, come dargli torto? Che modi sono: i reati, siano reati, esentasse; i lavori, quelli sì che vanno tassati! Perché non prenderlo in considerazione come ministro della Giustizia al prossimo governo? Tanto, il surreale diventa reale!
Nel Paese in cui uno scrittore geniale, Collodi, 140 anni fa, faceva incarcerare da un giudice-gorilla il suo burattino Pinocchio che aveva denunciato di aver subìto una truffa (per dire che in un secolo e mezzo non è cambiato niente); nel Paese che oggi ha 4,5 milioni di cause penali arretrate e 3,9 di cause civili pendenti, ebbene: in questo Paese si chiede a due presunti spacciatori di pagare le tasse sui proventi del loro crimine, pur non ancora accertato. Meraviglioso, immaginazione al potere.
E in fondo anche Fabrizio De Andrè, nel suo “Il testamento” cantava qualcosa del genere: “Ai protettori delle battone / lascio un impiego da ragioniere / perché provetti nel loro mestiere / rendano edotta la popolazione / ad ogni fine di settimana / sopra la rendita di una puttana”. Che non a caso in Germania pagano le tasse. Un’altra idea per i finanzieri di Gela: contabilizziamo e tassiamo le rendite di quelle signore.