In sintesi, il “raduno” di Pontida del 19 giugno si è concluso con due punti essenziali. Il primo è di corto respiro: la Lega concede un canone di locazione a breve termine al Governo, confermando la “leadership” del Presidente del Consiglio sino a quando l’esecutivo durerà, ma dettando una serie di condizioni per mantenere il Governo in vita.
Il secondo, con implicazioni a più lungo termine, è la sospensione, ove non la cessazione, dell’alleanza tra la Lega e il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti, perché gran parte delle condizioni in materia economica poste dai leader del Carroccio (e applaudite con calore dal “popolo della Lega” riunito a Pontina) cozzano con le politiche impostate dal dicastero di via XX Settembre, dato che comportano una consistente riduzione di gettito fiscale preliminare all’eventuale contrazione della spesa, proprio mentre si annuncia, invece, una maxi-manovra di 20 miliardi di euro (per essere in linea con il patto euro-plus) e la Bce ci invita a fare ancora di più.
I due aspetti sono interdipendenti, in quanto possono portare o all’uscita della Lega dal Governo a breve termine o al cambiamento di inquilino a via XX Settembre per traslocare non verso Palazzo Chigi (come alcuni pensavano sino a pochi mesi fa), ma verso lidi non ancora chiari a nessuno (neanche al diretto interessato).
È interessante notare che le condizioni in materia di politica economica non sono molto differenti da quelle presentate il giorno prima in piazza del Popolo a Roma da Cisl e Uil: i vertici della Lega rafforzano il proprio nesso (mai abbandonato) con il ceto “che lavora e che produce” e che si considera “tartassato”. È anche interessante notare che, sotto il profilo dei costi da ridurre, da un lato si propone il ritiro dell’Italia da missioni internazionali pattuite con altri Stati nell’ambito di accordi a vasto raggio e da un altro si delinea una vera e propria riforma costituzionale (nella piena consapevolezza che tali riforme in nessuna parte del mondo occidentale vengono fatte da Governi “di parte”).
Occorre lasciare a commentatori poco informati l’uso dell’aggettivo “folcloristico” a proposito delle proposte relative al trasferimento di alcuni dicasteri al Nord: nella “devolution” britannica parte della pubblica amministrazione di Sua Maestà lasciò Whitehall per andare, senza traumi eccessivi, nei pressi di Bristol e di Edinburgo.
Come indicato in alcune mail inviati a Roma da Washington la settimana scorsa, l’Amministrazione Obama era perfettamente consapevolmente già da alcuni giorni, pur senza la ricchezza di dettagli enunciati a Pontida, degli intenti dei leader della Lega. Il partito ha da anni propri rappresentanti negli Stati Uniti – un tempo anche un ufficio al Rockefeller Center di New York che non so se sia ancora in funzione. Il quotidiano America Oggi, l’unico in lingua italiana negli Stati Uniti, (30.000 copie vendute in settimana, 60.000 la domenica) non cela le proprie simpatie leghiste.
Da quando Obama è alla Casa Bianca, i “leghisti americani” (chiamiamoli così) hanno consolidato rapporti diretti con il Tesoro e con il Comitato dei Consiglieri Economici del Presidente, soprattutto in quanto gli obamiani non sembrano avere mai stretto un rapporto intenso con Giulio Tremonti, da loro considerato (a torto o a ragione) troppo vicino a Larry Lindsey (il consigliere speciale di Bush). Da Washington, quindi, informano Via Bellerio che su una sponda americana l’attuale inquilino di via XX Settembre non può più contare.
Al Tesoro e al Dipartimento di Stato si auspica che l’Italia riesca a evitare un declassamento dei propri titoli di Stato (quale quello minacciato da Moody’s) e avvii una “grande coalizione” per presentare, eattuare, un programma rigoroso di riduzione della spesa tale da rendere possibile quell’abbassamento della pressione tributaria e quell’allentamento del giogo regolatorio senza il quale nessuna ripresa significativa è possibile.
Si è detto che la riforma istituzionale preconizzata a Pontida (la riduzione del numero dei Parlamentari e la costituzione del Senato delle Regioni) non può essere realizzata senza l’accordo di un vasto arco del Parlamento. Analogamente, l’eventuale cambiamento degli accordi internazionali sulle missioni militari all’estero richiedono il supporto di un vasto arco parlamentare. E, soprattutto, la leadership leghista non vuole elezioni subito per evitare al centrodestra una terza bruciante sconfitta elettorale.
Tutto pare spingere verso una “grande coalizione”, anche se è difficile ipotizzare non solamente se Silvio Berlusconi sarà pronto a fare un passo indietro, se Tremonti (considerato una garanzia per l’Ue) possa restare al proprio posto nell’eventualità di cambiamento di Governo (si parla, anche negli Usa, di Presidenza del Consiglio a Maroni). Ancora più arduo delineare quale potrebbe essere la struttura di un eventuale nuovo Esecutivo in grado di rassicurare i mercati e realizzare le riforme (inclusa quella della Costituzione).
Siamo in mezzo a un guado: abbiamo lasciato la sponda degli ultimi anni, ma non intravediamo ancora quella dove approdare.