“Se l’Italia nel 2016 tornerà a crescere a ritmi ragionevoli, il merito non è di Renzi ma di Draghi e Berlusconi. Il primo con il Quantitative Easing ha rilanciato i consumi. Il secondo ha ispirato l’abolizione della tassa sulla prima casa inserita nella legge di stabilità”. Lo evidenzia il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie. Il rapporto della Commissione Ue pubblicato ieri afferma che nel 2015 il Pil italiano crescerà dello 0,9% e nel 2016 dell’1,5%. Il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, ha commentato i dati affermando che “la ripresa in Italia è sempre più autosufficiente e meno dipendente da fattori temporanei come indebolimento dell’euro, calo dei prezzi petroliferi e allentamento della politica monetaria della Bce”.
Professore, come valuta la spiegazione fornita da Dombrovskis sulle cause della crescita italiana?
Non riesco a comprendere il significato della tesi della Commissione Ue secondo cui la ripresa italiana dipenderebbe sempre meno dal Quantitative Easing e dal ribasso del prezzo del petrolio. Il primo dei due fattori ha generato una maggiore capacità di espandere il credito, che deriva dal fatto che c’è più denaro in circolazione a un costo minore. Nello stesso tempo il debito pubblico in parte è andato a finire alla Bce. Ciò facilita lo stesso credito alle imprese, nonché l’acquisto di abitazioni a prezzo più basso, anche se il mercato edilizio è ancora debole.
Quali sono stati gli effetti del calo del prezzo del petrolio?
Il calo del prezzo del petrolio fa sì che le famiglie possano spendere di più, perché l’energia costa meno.
Quindi lei nega che ci sia qualsiasi fattore endogeno di crescita?
Indubbiamente c’è un aumento della domanda che dipende da fattori endogeni. Tra questi ultimi c’è la ricostituzione delle scorte, che deriva dal fatto che il ciclo ha terminato la parte negativa e ha iniziato quella positiva. Dall’altra l’espansione della domanda interna è dello 0,7% nel 2015, e l’anno prossimo crescerà ancora. Il rapporto deficit/Pil d’altra parte nel 2015 è del 2,6% e nel 2016 sarà del 2,4%.
Quali sono gli aspetti positivi della politica economica di questo governo?
Il principale aspetto positivo è avere copiato Berlusconi sulla tassazione degli immobili. La riduzione dell’imposta sulla prima casa rafforzerà la domanda di consumo, che si espande se una persona è sicura di avere risolto i problemi dell’abitazione.
Di chi sono i meriti se l’Italia crescerà di più nel 2016?
L’effetto delle politiche di Draghi e il modello di Berlusconi non si possono ignorare in questa analisi che indubbiamente riguarda una crescita al termine di anni di recessione.
Come valuta invece i dati sulla disoccupazione?
Quest’anno ci troviamo a livelli di disoccupazione uguali a quelli del 2013. Ancora l’anno prossimo avremo una disoccupazione superiore all’11%. Una crescita debole come quella attuale implica che il problema della disoccupazione non si risolve. Questo né nell’immediato né dal punto di vista strutturale, perché in questa crescita la componente investimenti è debole e da più parti finanziata a debito.
Perché allora Bruxelles elogia l’operato dell’Italia?
Il motivo per cui la Commissione Ue fa queste dichiarazioni è che siccome in Germania la situazione è diventata poco rassicurante, si deve dire che nell’Unione Europea c’è un Paese che migliora come l’Italia. Bruxelles cerca di presentare con maggiore ottimismo i dati dell’economia italiana, che in gran parte dipendono dall’effetto positivo del quantitative easing e dal basso prezzo del petrolio. Questi due elementi hanno generato una spirale benefica riattivando la domanda interna. Un nuovo aumento del prezzo del petrolio e dei tassi d’interesse ci riporterebbero però al punto di partenza.
Che cosa manca per parlare di crescita endogena?
Per parlare di crescita endogena sarebbe necessario che la domanda interna fosse trainata dagli investimenti e dalle esportazioni, e che il bilancio fosse in pareggio. Non mi sembra che si possa parlare di una crescita virtuosa con una disoccupazione superiore all’11%, gli investimenti bassi, il disavanzo elevato e la politica di stimolo della Bce basata essenzialmente sul fatto che ha acquistato una parte del nostro debito pubblico.
(Pietro Vernizzi)