Oggi il presidente americano Donald Trump deve decidere se rendere permanente l’esenzione dei dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio agli alleati europei oppure far entrare in vigore le sanzioni. Secondo un recente report dell’ufficio studi di Confindustria, l’Italia “è relativamente poco esposta ai nuovi dazi Usa”. Nelle produzioni di acciaio e alluminio interessate dai dazi “le vendite italiane negli Stati Uniti sono state pari nel 2017 a 760 milioni di euro, il 3,8% di quelle realizzate all’estero e appena lo 0,2% dell’export manifatturiero”. Nell’attesa, l’Europa – che pure ha continuato fino a ieri a cercare una soluzione negoziale attraverso l’azione della commissaria al Commercio, Cecilia Malstroem – non starà con le mani in mano e ha avvertito gli Usa. Con un comunicato congiunto, domenica scorsa, Theresa May, Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno ribadito la loro opposizione: “Gli Usa non prendano misure commerciali nei confronti della Ue, altrimenti la Ue sarà pronta a difendere i propri interessi, nel quadro delle regole del commercio multilaterale, con efficacia e celerità”.
Siamo, dunque, alla vigilia della più grave crisi commerciale dal dopoguerra, che potrebbe alla fine mettere a repentaglio anche i 40 miliardi di export italiano verso gli Usa? “No, non è la più grave crisi commerciale dal dopoguerra – risponde Carlo Altomonte, professore di Economia dell’integrazione europea all’Università Bocconi -. È piuttosto l’ennesima crisi commerciale: già prima del 1995, anno di nascita della Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, le guerre commerciali si sono sempre fatte, anche su prodotti con impatti maggiori rispetto ad alluminio e acciaio. Questa, però, può essere la prima disputa commerciale che rischia di mettere in discussione quel sistema di regole che governano gli scambi mondiali dal 1995”.
Questi dazi che tipo di impatto potranno avere, nell’immediato, sull’export italiano?
Non rilevante, soprattutto sul versante dell’alluminio, mentre sull’acciaio noi esportiamo acciai speciali già soggetti a tariffe. Diciamo che possiamo corriere il rischio di quella che viene chiamata “diversione del commercio internazionale”: può succedere, cioè, che altri paesi produttori di acciaio a basso costo, impossibilitati a vendere negli Usa, scarichino la loro produzione sull’Europa, con un conseguente abbassamento dei prezzi.
L’Europa ha comunque minacciato delle ritorsioni, come annunciato dal comunicato congiunto firmato da Merkel, May e Macron…
Innanzitutto, Trump fa appello alla Clausola 201 del Trade Act, che dà potere al presidente americano di implementare misure di salvaguardia su prodotti che possono minacciare la sicurezza dell’industria nazionale e questo è un principio difficilmente aggredibile. In secondo luogo, Merkel, May e Macron possono minacciare ritorsioni, ma, se vuole introdurre a sua volta dazi o sanzioni commerciali, alla Ue serve la maggioranza qualificata dei Paesi. Altrimenti non se ne fa niente.
Allora il rischio di un’escalation non è così imminente e concreto?
Il rischio vero è che l’azione Usa porti a un progressivo irrigidimento delle catene globali del valore, il che genererebbe una crescita mondiale a ritmi più bassi. E da questa escalation la Ue avrebbe tutto da perdere.
Anche l’Italia ne uscirebbe penalizzata: in caso di shock protezionistico per i dazi Usa, e la possibilità che tali misure possano inasprirsi ed estendersi a più Paesi, il Def prevede una perdita di Pil dello 0,3% nel 2018 e dello 0,7% nel 2019″…
In Italia consumi e investimenti stanno migliorando, ma se si contraesse il commercio internazionale, visto che l’export è uno dei nostri punti di forza, saremmo costretti a compensare la minore crescita ricorrendo a più consumi interni e a maggiore spesa pubblica.
Trump dice che “la Ue è stata creata per approfittarsi degli Usa”. Un’affermazione forte. C’è qualcosa di vero?
In occasione della recente visita della Merkel negli Usa, penso che Trump si sia dimostrato molto “europeista”. In sostanza ha ricordato alla cancelliera tedesca che, primo, la Germania non può dipendere sull’energia solo dalla Russia, ma deve diversificare le sue fonti; secondo, la Germania non può dipendere solo dagli Stati Uniti per le spese legate alla difesa, ma deve contribuire con più risorse; terzo, non può scaricare i suoi surplus commerciali solo sugli Usa. Insomma, ha messo la Merkel e la Germania davanti alle sue contraddizioni: non può continuare con il suo surplus commerciale solo a non incentivare i consumi e ad abbassare il proprio debito.
Sta forse dicendo che, paradossalmente, Trump, ricordando alla Germania le sue responsabilità verso gli altri Paesi Ue, oggi è il miglior alleato dell’Italia?
Paradossalmente è così. E dunque fa bene il nostro governo a non dire niente.
Trump, però, punta a disarticolare la Ue e ad arrivare ad accordi bilaterali con i singoli paesi europei…
È probabile che questo sia il suo disegno strategico. Ma non penso che la Ue sia così ingenua da cadere nella trappola. I Paesi europei, presi singolarmente, sono condannati all’irrilevanza, perché nessuno di essi, nemmeno la Germania, sarebbe in grado di contare sullo scenario internazionale: nessun Paese Ue entrerebbe nel G-7 nei prossimi dieci anni considerando i tassi di crescita attuali. I Paesi europei contano solo se stanno insieme nell’Unione europea, un’area che vale un quarto del Pil mondiale e che conta più di 500 milioni di consumatori.
Quindi nessun Paese Ue trarrebbe vantaggio stipulando da solo accordi bilaterali con gli Stati Uniti?
Bisogna anche ricordare che, da un punto di vista strettamente legale, le regole europee impediscono ai singoli Paesi di firmare accordi bilaterali. Serve sempre la maggioranza qualificata del Consiglio Ue. L’alternativa è uscire dall’Unione, ma non penso che ci sia alcun Paese così ansioso di “suicidarsi” come ha fatto il Regno Unito.
Se oggi Trump confermasse i dazi su acciaio e alluminio, da domani cosa potrebbe succedere?
La Ue farà la voce grossa, come è giusto che sia. Ma prima di arrivare a votare sanzioni effettive passerà del tempo. Quindi ci sarà spazio per riaprire un negoziato. Prima che Trump punti al bersaglio grosso: imporre dazi all’import di auto tedesche.
(Marco Biscella)