La questione dell’opportunità dei concordati ritorna periodicamente nel dibattito politico-culturale italiano. Nell’editoriale del Corriere della Sera di domenica 30 agosto, Galli della Loggia ripropone questo tema alla luce della novità costituita dall’acuirsi della crisi tra il centrodestra e le gerarchie cattoliche cui stiamo assistendo in Italia. Nell’articolo si pongono una serie di domande che cercano di offrire una lettura di maggior respiro rispetto agli eventi contingenti che hanno determinato tale tensione. Torna così al centro dell’attenzione la questione concordataria e le ragioni e i limiti, in Italia, di questo modello di rapporti tra Stato e Chiesa.
Ad avviso di Galli della Loggia la maggioranza dell’opinione pubblica non è più favorevole al «riconoscimento dell’imprescindibile carattere istituzionale della Chiesa» e quindi al Concordato, visto come strumento per regolare i rapporti tra Stato e Chiesa, ma si sarebbe in presenza di una nuova linea di demarcazione tra chi, laico o cattolico che sia, è favorevole «al riconoscimento del carattere istituzionale della Chiesa e di un suo spazio sociale» e chi vi è contrario. Certamente all’origine dell’articolo 7 della Costituzione italiana si può individuare un’opzione che potremmo così riassumere: il problema della libertà religiosa coincide con il problema della libertà e sovranità della Chiesa. Ma, a mio avviso, già in sede costituente, la scelta di Dossetti è stata fortemente contestualizzata e la giurisprudenza costituzionale ha proseguito con chiarezza lungo la strada del riconoscimento primario del diritto di libertà religiosa.
Guardando alla politica della Santa Sede credo si possa sostenere che il Concordato, la cui diffusione come strumento regolativo dei rapporti tra Stato e Chiesa, dopo la caduta del muro di Berlino, è crescente, si è profondamente modificato nel corso di questi ultimi decenni. Da strumento giuridico tipico dei paesi a maggioranza cattolica è divenuto uno strumento giuridico che regola i rapporti tra Stato e Chiesa anche in paesi dove i cattolici, per non dire i battezzati, rappresentano una minoranza. Pensiamo solo al fatto che tutti i Länder della Germania, con la sola eccezione della città di Berlino, hanno firmato convenzioni con la Chiesa cattolica. E nella vecchia Germania orientale il numero dei battezzati (non dei cattolici) non arriva al 30%. E un discorso analogo si potrebbe fare per altri paesi dell’Europa orientale, così come per alcuni stati dell’Asia e dell’Africa che hanno firmato in questi anni dei concordati. A mio parere il modello concordatario, come tale, non esprime più una modalità di presenza pubblica della Chiesa cattolica vicina, se non al confessionismo, allo status di religione privilegiaria. Evidentemente i concordati vanno giudicati nel concreto e non si può escludere che alcuni di loro contengano istituti che possono essere qualificati come tardo confessionisti. Ma francamente non mi sembra il caso italiano.
La seconda questione che, a mio avviso, emerge nell’editoriale, è quella della presenza dei cattolici nello spazio pubblico. Si tratta di un tema molto dibattuto all’interno del mondo cattolico, che, con molta semplificazione, potremmo dividere tra chi privilegia l’elemento spirituale e di conversione, rimandando alle opzioni dei singoli e dei gruppi, fatalmente, differenti, le valutazioni e gli impegni nel temporale – scelta che è stata definita cripto diaspora; e chi ritiene che, al contrario, sia un dovere della Chiesa in tutte le sue componenti, quindi dell’istituzione, mantenere, per quanto possibile, un collegamento tra valori riconducibili alla concezione cattolica e scelte della società civile.
Mi sembra difficile entrare nel merito del concreto realizzarsi di queste due opzioni. Vorrei solo osservare che la dimensione istituzionale è essenziale per la Chiesa cattolica, che non potrebbe accettare, pena il venir meno della sua natura teologica, una riduzione a mera congregazione, e che una presenza pubblica delle religioni e delle confessioni difficilmente potrà esistere senza strumenti giuridici che garantiscano non solo la libertà religiosa individuale, di cui la forma associata è parte essenziale, ma anche quella dell’istituzione religiosa e delle sue articolazioni, sia pure in forme rispettose del pluralismo sociale e religioso contemporaneo.