«Obama si accorge dell’interdipendenza tra Usa ed Europa solo ora che la crisi dell’euro rischia di avere gravi ripercussioni per la fragile ripresa americana. Finora però Washington ha tratto vantaggio dall’instabilità finanziaria dei Paesi del Sud Europa, e il presidente Usa non ha fatto quanto doveva per riformare il sistema bancario statunitense eliminandone i gravi disequilibri». Ad affermarlo è Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata, dopo che la Casa bianca in quattro giorni ha bacchettato per ben tre volte le misure Ue. Se Obama ha usato toni più sfumati, il suo portavoce Jay Carney non le ha certo mandate a dire: “I mercati sono scettici sulla possibilità che le misure adottate dall’Eurozona siano sufficienti per assicurare la ripresa dell’Europa e rimuovere il rischio di un aggravamento della crisi”.
Da dove nascono le critiche di Obama all’Ue?
C’è una consapevolezza sempre maggiore dell’interdipendenza tra i vari Paesi, che si coglie però solo nei momenti di crisi. La Germania si accorge che non può fare saltare l’euro, perché sarebbe un problema molto grave per tutto il suo sistema dell’export e per i pagamenti dei crediti tedeschi. Gli stessi Stati Uniti si rendono conto che un fallimento dell’euro avrebbe delle conseguenze gravi anche su di loro. Il problema è quindi che si capisce il valore di una maggiore cooperazione e coordinamento tra le politiche solo quando le cose iniziano a mettersi male.
Quanto è forte l’interdipendenza tra Usa e Ue?
Ciò che è avvenuto nell’economia europea dipende in parte proprio dagli Stati Uniti, in quanto noi abbiamo ereditato una crisi incominciata oltreoceano. Il vantaggio degli americani rispetto all’economia del Vecchio Continente è che il dollaro è considerato valuta leader, e questo ha consentito loro di finanziarsi con un tasso più vantaggioso rispetto ad altri Paesi.
Quali campanelli d’allarme hanno portato la Casa bianca a reagire?
Finché la crisi non è stata così grave, tedeschi e americani ne hanno avuto un beneficio. Il debito più sicuro era infatti quello di Germania e Stati Uniti, mentre quello dei Paesi periferici dell’area euro era percepito come rischioso. Se tutto questo arrivasse però alle estreme conseguenze di un’uscita dall’euro di alcuni Paesi con una crisi definitiva della moneta unica, diventerebbe un fatto talmente grave da avere ripercussioni per la stessa fragile ripresa americana. E’ a questo punto che è scattato l’appello di Obama a un’uscita dell’Europa dalla crisi attraverso un rafforzamento dell’unione fiscale e monetaria.
Obama è esente da responsabilità nei confronti della crisi?
La responsabilità principale del presidente è che, pur avendo fatto la voce grossa, ha salvato le banche americane senza porre alcuna condizione. Il salvataggio era invece un’occasione fondamentale per mettere in atto una riforma molto seria del sistema. Obama non ha rimosso le cause principali della crisi finanziaria, attuando una separazione tra le banche commerciali e quelle d’affari, come prescrive la cosiddetta Volcker rule. Occorreva inoltre una regolamentazione del sistema bancario ombra e controlli molto seri sui derivati. La Casa bianca non ha fatto nulla di tutto ciò e dopo la crisi il settore si è ulteriormente concentrato nelle mani di pochi. I fattori di squilibrio sono ancora tutti presenti e il rischio di una nuova crisi finanziaria è sempre molto forte.
L’impegno di Obama per rafforzare la coesione europea è stato positivo?
Sì, in quanto si esce dalla crisi dell’euro solo con un passo avanti verso l’unità fiscale e una regolamentazione bancaria comune a livello europeo. Occorre muoversi verso l’Europa federale, e a questo punto Obama si rende conto che la crisi dell’euro porterebbe a delle ripercussioni forti anche negli Usa. Sollecita quindi un passo in avanti da parte dell’Ue, e in questo Obama è totalmente condivisibile.
Secondo gli Usa la crisi è stata originata dall’instabilità politica dell’Ue …
La crisi finanziaria globale è nata dai mutui subprime americani, che hanno fatto sì che siano stati spesi più di 10 trilioni di dollari per salvare le banche. Questo ha portato a un forte aumento dei debiti pubblici in tutto il mondo, soprattutto negli Usa, Gran Bretagna e Irlanda. La recessione poi ha ulteriormente peggiorato il rapporto debito/Pil dei vari Stati. E’ dagli Usa quindi che è nato il primo shock che poi si è propagato anche in Europa. Una volta trasformatasi in una crisi dei debiti pubblici, ha coinvolto l’euro mettendo in evidenza quelle debolezze ed eterogeneità tra Paesi che non potevano essere sanate da una politica fiscale comune di cui c’è bisogno oggi, e che speriamo l’urgenza della situazione possa fare scattare.
(Pietro Vernizzi)