Sul sussidiario abbiamo pensato subito male quando Giuseppe Sala, al terz’ultimo giorno dell’Expo, è stato premiato dal premier Matteo Renzi con una poltrona nel consiglio d’amministrazione della Cassa Depositi e Prestiti. Abbiamo subito sentito odore di conflitto d’interesse preventivo, per un quasi-candidato sindaco di Milano per il centrosinistra. Ieri sera ci ha comunque pensato lo stesso Renzi a liberarci in fretta da ogni timore di malizia pregiudiziale e indebita. Il premier, completando la sua personale appropriazione di un evento-Paese che lui certamente non ha concepito (e tanto meno un governo di centro-sinistra), ha annunciato che l’Expo diventerà un campus scientifico-tecnologico orientato alla ricerca sul genoma e sul Big Data.
Con 150 milioni d’investimenti in dieci anni da parte della Cassa Depositi. Il che, d’acchito, può perfino suonare bene. Suona assai meno bene se i pubblici ringraziamenti a Sala — ieri al Piccolo Teatro — paiono chiudere un sillogismo elementare: non sarebbe meglio eleggere sindaco chi avrà in mano il borsellino del dopo-Expo (e magari di altro)? Volete bocciare il “partito/premier della Nazione” che ha appena nominato presidente Cdp il banchiere milanese Claudio Costamagna, consulente di tutti o quasi a Milano? (Per chi ha intenzione di votare a Palazzo Marino — ad esempio — il numero uno di Assolombarda Gianfelice Rocca, candidato presidente di Confindustria e soprattutto patron del polo medico-scientifico Humanitas? Cos’avrebbero detto-scritto-indagato su Silvio Berlusconi che avesse spedito la Cassa Depositi e Prestiti rilanciata da Giulio Tremonti a costruire un parco scientifico nella Milano del San Raffaele? Cos’hanno detto-scritto — e in parte indagato — sull’Expo quando fu pensato e conquistato da Letizia Moratti e dalla Milano del centrodestra?).
Ma c’è qualcos’altro che non suona bene nella narrativa renziana su Milano 2040: è il trattarla come un’area da Cassa del Mezzogiorno, più che da Cassa Depositi e Prestiti. “Il mondo è cambiato”, ha strillato ieri più volte, mostrando oggetti “del secolo scorso” come il walkman. Ecco: era nel ventesimo secolo che un premier arrivava in un posto e portava un finanziamento pubblico.
A Milano non servono soldi: tanto meno il giro-conto statal-romano di una Cassa Depositi e Prestiti che sta in piedi con la proprietà delle grandi Fondazioni del Nord, intermediando risparmio postale ancora una volta generato in gran parte al Nord e facendo leva su fondi strategici partecipati da Intesa Sanpaolo, UniCredit & C. A Milano servirebbe, per dirne una, una seria rappresentanza degli interessi industriali e finanziari italiani in sede Ue. E se ne potrebbero dire molte altre. Renzi ne dovrebbe dire molte altre. Non giocare all’Iri — o al voto di scambio — nella Milano del 2040.