L’ex presidente degli Stati Uniti, Gerald Ford, faceva sempre affidamento su una massima: «La verità è ciò che tiene insieme un governo. Il compromesso è l’olio che lo fa funzionar». Di verità nel nostro governo io non ne vedo, meno che mai in materia economica. C’è stato, finora, molto compromesso, ma anche quello mi pare stia scemando. Perché ormai il Re è nudo. O quasi. Sui migranti, sarebbero almeno una dozzina i politici che dovrebbero dimettersi immediatamente dal ruolo che ricoprono e abbandonare per sempre la politica, almeno a parziale risarcimento del danno cagionato – e anche ancora stanno cagionando – al Paese. In economia, poi, siamo al disastro totale.
Sale ancora il debito pubblico italiano, proprio quello che il governo si deve impegnare ad abbattere – in rapporto al Pil – per spuntare maggiore flessibilità nella scrittura del Bilancio del 2018, stando almeno a quanto concesso e ribadito dalla Commissione Ue nell’ultima, freschissima lettera inviata al Tesoro. Stando al dato comunicato ieri da Bankitalia, a maggio il debito delle Amministrazioni pubbliche è stato pari a 2.278,9 miliardi, in aumento di 8,2 miliardi rispetto ad aprile: «L’incremento è dovuto principalmente al fabbisogno mensile delle Amministrazioni pubbliche (7,0 miliardi); vi contribuiscono anche l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (per 0,5 miliardi, a 58,9; erano pari a 72,7 miliardi alla fine di maggio 2016) e l’effetto complessivo degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione del tasso di cambio (0,7 miliardi)», dice via Nazionale. E tanto per non farci mancare niente, ecco la combo ideale: l’inflazione rallenta a giugno, calando dello 0,1% su maggio e aumentando dell’1,2% rispetto a giugno 2016 (dall’1,4% di maggio).
Il rallentamento dell’inflazione per il secondo mese consecutivo si deve soprattutto ai beni i cui prezzi di solito presentano maggiore volatilità: alimentari non lavorati ed energetici non regolamentati, che decelerano rispetto al mese precedente (rispettivamente +1,4% da +3,8% i primi e +2,9% da +6,8% i secondi). Compensano solo in parte questo rallentamento i prezzi dei servizi relativi ai trasporti, che accelerano di nuovo (+4,1% da +3,2% di maggio). E quindi l’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, sale di due decimi di punto percentuale (+0,9% da +0,7% di maggio), mentre quella al netto dei soli beni energetici si attesta allo 0,9% (da +1,0% del mese precedente). Per via di frutta e verdura che scendono in misura significativa, i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza diminuiscono dello 0,5% su base mensile e dimezzano la crescita su base annua portandosi a +0,9% (da +1,8% del mese precedente). Anche il lieve calo su base mensile dell’indice generale è dovuto quindi soprattutto ai ribassi dei prezzi dei beni alimentari non lavorati (-1,9%), in particolare di frutta e verdura, e degli energetici non regolamentati (-1,6%), i cui effetti sono in larga parte bilanciati dall’aumento dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+1,1%).
Su base annua, rallenta la crescita dei prezzi dei beni (+0,9% da +1,6% di maggio), mentre accelera, seppur di poco, il tasso di crescita dei prezzi dei servizi (+1,5% dal +1,4%). Pertanto, a giugno il differenziale inflazionistico tra servizi e beni torna positivo e pari a +0,6 punti percentuali. L’inflazione acquisita per il 2017 è pari a +1,2% per l’indice generale; +0,7% per la componente di fondo. I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona diminuiscono su base mensile (-0,7%) e crescono su base annua (+0,7% da +1,6% di maggio). Direte voi, ormai assuefatti al nuovo ordine economico: meglio, la Bce può andare avanti ancora un po’ con il Qe Ne dubito. E non lo dico io, lo dice questo grafico di Bank of America-Merrill Lynch. E cosa ci dice:? Che le Banche centrali sono il mercato obbligazionario. Non c’è altro soggetto, non c’è operatività, non c’è più nulla: solo Stati che emettono debito per cercare di racimolare soldi e Banche centrali che comprano tutto a qualsiasi prezzo, tramutando i loro stati patrimoniali in cloache.
E adesso, cosa si fa? Perché se, come dice la Yellen, occorre mettere a dieta i bilanci, non si potrà continuare a comprare: cosa faranno Bce e Bank of Japan, davvero daranno vita al tapering? Semplicemente impossibile, perché come ci mostra quel grafico, senza di loro crolla tutto, non essendoci più nessun operatività reale. E c’è dell’altro che potrebbe accelerare una mossa disperata, ce lo mostra questo altro grafico: che cosa ci dice? Al netto degli aumenti dei tassi finora compiuti dalla Fed e prendendo per buono che non ce ne siano altri, oggi come oggi la Banca centrale americana paga qualcosa come 27 miliardi di interesse sulle riserve parcheggiate ogni anno. Bene, grazie al comunicato H.8 pubblicato dalla stessa Fed ieri, scopriamo ci sono le banche che hanno parcheggiato qualcosa come 2,1 triliardi di dollari presso l’istituto: banche estere, anche e soprattutto europee e giapponesi. Le quali, al netto di un bilancio Fed da 4,5 che ora il Congresso metterà sotto la lente d’ingrandimento, pesano per il 40% – o 838 miliardi – di tutte le riserve parcheggiate: insomma, beneficiano di un Qe supplementare che è rappresentato dagli interessi pagati dalla Banca centrale Usa. Pensate che anche questo trucchetto overseas possa andare avanti per molto, soprattutto con un personaggio come Trump alla Casa Bianca?
Siamo alla fine dei conigli dal cilindro, tocca ammetterlo: serve uno shock devastante a livello economico o geopolitico che costringa le Banche centrali a varcare il Rubicone dell’helicopter money, altrimenti non ci sarà modo di evitare una crisi scomposta e disordinata. Potrebbe servire una guerra e non ci sarebbe che l’imbarazzo della scelta o potrebbe essere utile una grande paura sui mercati, un qualcuno pronto ad andare fuori controllo con i propri conti, ma che pesa ben più della Grecia: vi viene in mente qualcuno? Magari un qualcuno che ha ormai un governo a pezzi, conti completamente andati, banche falsamente salve, destabilizzazione sociale in crescita a causa della questione migranti che, caso strano, l’Europa sembra volerci scaricare addosso sempre di più, 4,7 milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà, disoccupazione ormai cronicamente da allarme, continue fughe di capitali verso Nord, come attesta il saldo di Target2.
Devo continuare o avete capito chi potrebbe essere l’elefante nella stanza, questa volta? Il dato sull’inflazione italiana di cui vi ho parlato all’inizio è la conferma di un Paese che gioca a fare il morto a galla nel mare della stagnazione, al netto dei dati ridicoli di Bankitalia e Confindustria sulla crescita: al netto di tutto, viviamo grazie a 8-10 miliardi di debito pubblico in più su base mensile. Pensate che basti il costo del suo servizio tenuto artificialmente basso da Draghi, il quale ci garantisce aste senza patemi d’animo per piazzare quello stesso debito nella pancia di mamma Bce? No, non basta. Perché o si impazzisce tutti e si comincia a stampare indefinitivamente e senza limite di ammontare, facendo la fine di Weimar in due anni oppure, quando la pressa sarà spenta o rallentata, i nostri conti salteranno in aria.
È così, stavolta la pacchia è finita davvero. Qualcuno deve pagare il conto e la Fed ha deciso che non saranno gli Usa: e con la Germania a menare le danze e la Francia che ormai beneficia dello scudo difensivo di Washington, indovinate chi finirà nel mirino? La lettera della Commissione Ue appena ricevuta ricorda molto quella del 2011: con qualche settimana di anticipo, ma il sentiero pare proprio quello. Le fibrillazioni politiche di questi giorni sembrerebbero smentirlo, ma, a mio avviso, il silenzio del Quirinale parla più di mille parole. Sarà una lunga estate. Per l’autunno, non garantisco.