Comunque vada a finire, la querelle Berlusconi-Fini già si presta a molte riflessioni. Io mi soffermerò, e brevemente, su un punto soltanto: un punto sin qui poco preso in considerazione, forse secondario, e tuttavia, almeno a mio giudizio, importante.
La domanda è semplice, persino rozza: c’è ancora e, se c’è ancora, che cosa è diventato, il Popolo delle Libertà? La mia risposta è altrettanto semplice e magari altrettanto rozza: no. E non mi riferisco alle questioni sollevate da Fini e dai suoi (non numerosissimi) seguaci, la scarsa o nulla democrazia interna, il poco rispetto portato al “cofondatore”, il rapporto a dir poco privilegiato tra Berlusconi e la Lega, ecc.
Credo che bisognerebbe porsi per il Pdl (e ancora di più per il Pd, naturalmente: ma a scriverne spesso si ha ogni tanto l’impressione di sparare sulla Croce Rossa) un problema d’ordine più generale. Bisognerebbe cioè provarsi a stabilire se il Pdl è riuscito a diventare quel grande partito nazionale, e sottolineo nazionale, che nelle ambizioni voleva essere; o, quanto meno, se ha fatto dei passi avanti significativi in questa direzione. Non sto parlando del consenso, che resta altissimo, verso Berlusconi, e neanche della consistenza elettorale che, nonostante qualche scricchiolio, resta assai elevata.
Sto cercando di dire che i partiti – tutti i partiti: anche quelli assolutamente e se volete anche genialmente atipici, come il Pdl – nascono e mettono radici su un’idea condivisa di Paese (di più: verrebbe da dire, su una comune intuizione del mondo). In caso contrario, magari nascono, e per un certo periodo crescono pure; ma radici profonde non ne mettono.
Il Pdl è l’asse portante di un centrodestra che è larga maggioranza nel Paese, e ha nell’inesistenza di un’opposizione appena degna di questo nome un punto straordinario di forza e nello stesso tempo un punto straordinario di debolezza. E non è vero, aggiungo, che Berlusconi sia diventato un ostaggio di Bossi, non fosse altro perché ognuno dei due ha bisogno dell’altro, mentre nessuno dei due (nel caso, ovviamente, più Berlusconi di Bossi, come ormai ogni giorno ripete sul Foglio Giuliano Ferrara) ha un particolare bisogno di Fini.
È vero, invece, a meno che non si prendano sul serio le chiacchiere sul berlusconismo come novella autobiografia della Nazione, che Berlusconi ha, per così dire, un’anima, e cioè appunto un’idea di sé e del Paese; il Pdl, per quanto è dato sapere, no, e più che a un partito, seppur nuovissimo, somiglia a una costellazione di uomini, di gruppi e di interessi che vivono (e, finché possono, prosperano) di luce riflessa.
È solo per via del carattere così fortemente leaderistico (qualcuno dice: della natura essenzialmente proprietaria) del partito? Io penso che ci sia qualcosa che non va, in un partito in cui, per definizione, la leadership non è contendibile. Ma, con tutto il rispetto per la cultura del fare, e con tutto il fastidio per il teatrino della vecchia politica, credo pure che il Pdl avrebbe avuto e avrebbe tuttora bisogno di un confronto aperto di idee, di proposte e di culture come dell’aria che respira. Perché la vertigine da successo (la citazione, perdonatemi, è di Giuseppe Stalin, uno che di partiti leaderistici come è noto se ne intendeva) può essere la più pericolosa delle vertigini.
Da questo punto di vista, confesso che mi colpiscono non poco la durezza e soprattutto la natura di alcune almeno delle contestazioni che vengono mosse al presidente della Camera, un generale senza eserciti di qualche consistenza. Fini non è “l’altra destra possibile”, come si ostinano a credere molti suoi interessati sostenitori nel centrosinistra e dintorni.
È una delle possibili anime della destra, una di quelle anime, cioè, che il Pdl, se fosse davvero il grande partito nazionale dei moderati italiani in gestazione, dovrebbe cercare di portare a sintesi. Trattarlo alla stregua del badogliano traditore, della quinta colonna che cerca di colpirti alle spalle anche se gli hai sottratto gran parte delle munizioni, indicargli la via della porta di casa come si fa con un rompiscatole: tutto questo non è soltanto sgradevole. Sembra un indice di forza, ma in realtà è l’indice di una difficoltà irrisolta, molto più profonda di quanto, in una vertigine da successo, si possa pensare.