Il volontariato potrebbe non essere più “ONLUS”. Sembra questo il destino che attende molte organizzazioni di volontariato, ONLUS di diritto, in forza delle disposizioni del d. lgs. n. 460/97, leggendo quanto contenuto nel c.d. “decreto anti-crisi”, approvato recentemente dal Governo (dl. n. 185/2008). Infatti, l’art. 30, comma 5 del citato decreto legge dispone che non si considerano “onlus di diritto” quelle organizzazioni di volontariato e di promozione sociale che svolgono attività diverse da quelle marginali.
Al riguardo, preme ricordare che, accanto alle attività istituzionali, le organizzazioni di volontariato (e di promozione sociale) possono esercitare anche attività marginali (rectius: commerciali, ai sensi del D.M. 25 maggio 1995), utili e necessario al finanziamento delle attività (statutarie) delle organizzazioni medesime. Per poter essere qualificate come tali, le attività marginali debbono essere, oltre che funzionali alla realizzazione del fine istituzionale dell’organizzazione di volontariato, effettuate senza l’utilizzo di risorse e mezzi organizzati professionalmente e non in concorrenza sul mercato. Si segnala che tra le attività marginali non si considerano quelle svolte in forza di apposita convenzione stipulata con gli enti pubblici, corrispettivi questi che si identificano con l’attività istituzionale. Nel corso degli ultimi anni, le organizzazioni senza scopo di lucro, ivi comprese le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, sono state oggetto di profonde trasformazioni e mutamenti. Tali e tanti sono i cambiamenti cui si è assistito e ancor’oggi si assiste, che non sembra affatto fuori luogo parlare di “evoluzione della specie non profit”.
L’evoluzione di cui trattasi risulta tanto più importante quanto più si considerino gli elementi innovativi che caratterizzano le organizzazioni non profit, ossia la loro diffusa capacità di rispondere in termini efficienti ed efficaci alle nuove sfide sociali, spesso in stretta collaborazione con gli enti pubblici territoriali. Invero, le organizzazioni non profit sono divenuti, progressivamente, soggetti protagonisti del sistema di welfare state, in cui alle organizzazioni in parola viene delegata ed affidata la produzione e l’erogazione di numerosi servizi alla persona di interesse collettivo. Alla luce della su richiamata evoluzione, la definizione di attività marginale, così come intesa nella l. n. 266/1991, mostra tutta la sua portata anacronistica. Invero, anche considerando che una lotteria, la vendita di magliette o di altri oggetti di artigianato siano valori in sé da preservare in un’organizzazione che intenda favorire il volontariato, in specie a livello locale, si deve altrettanto ammettere che trattasi di attività sì marginali ma che non possono risultare sufficienti a “colmare” il fabbisogno di risorse di cui un’organizzazione non profit necessita.
Pertanto, se da un lato, il d.l. n. 185/2008 sembra riconoscere l’esistenza (e quindi la realtà) di organizzazioni che svolgono altre attività di natura commerciale che “debordano” quelle marginali strettamente intese, dall’altro, sembra operare proprio nel senso contrario, ossia nella direzione di “scoraggiare” l’autofinanziamento (commerciale) delle attività di pubblica utilità realizzate dalle organizzazioni non lucrative.
Pur con tutti i limiti e vincoli che lo contraddistinguono, il decreto sulle ONLUS poggia sul riconoscimento di meritorietà di alcuni settori di intervento, per i quali, alle organizzazioni non profit in essi impegnate, è riconosciuto un favor fiscale. Ora invece, il decreto legge “anti-crisi” appare diretto a disincentivare se non addirittura punire l’azione “non marginale” delle organizzazioni di volontariato e di promozione sociale, non considerando gli effetti negativi che un simile provvedimento di “diffidenza” ancora una volta può provocare nell’universo delle organizzazioni che non perseguono un fine di lucro. E proprio in un momento storico in cui, a livello comunitario, la Commissione Europea affida proprio alla “non lucratività” delle organizzazioni un valore fondante dell’erogazione dei servizi sociali di interesse generale(SSGIs):
“how to avoid creating too heavy a burden for small, locally based, non-profit providers which often employ voluntary workers? These service providers are very active in this sector and are generally considered to be well equipped to deal with situations that have a strong local dimension. This is notably because these organisations generally have a strong cultural and ethical focus on supporting the disadvantaged. Similar issues were raised by stakeholders as regards the selection of service providers and the financing of SSGIs” (cfr. SEC(2008) 2179/2 COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT Biennial Report on social services of general interest, 2 luglio 2008, p. 71).