L’Italia è in transizione dall’era del deficit a quella del pareggio di bilancio perché il debito pubblico è arrivato oltre la soglia di sostenibilità. È un cambiamento epocale, in quanto non sarà più possibile mantenere il modello statalista-assistenziale, adottato nei primi anni ’70, e che dagli anni ’80 in poi è stato finanziato in deficit.
Il cumulo di deficit per tanti anni ha portato il debito pubblico complessivo al 120% del Pil. Anche perché il modello economico non liberalizzato, appesantito da costi e tasse e crescenti, ha soffocato la crescita del Pil, mantenendola, dai primi anni ’90, attorno alla metà della media europea, un quarto di quella americana, e un ottavo di quella cinese.
La crescita troppo bassa sta continuando (attorno all’1% tendenziale nel 2011 e 2012) e ciò rende insostenibile il debito troppo alto. Per questo è inevitabile l’azzeramento del deficit e, a seguire, il cambiamento dell’intero modello. Perché è inevitabile? Un debito pubblico deve essere continuamente rifinanziato. I titoli che arrivano a scadenza, per esempio i Bot decennali, vengono ripagati a chi li possiede emettendo nuovi titoli. Il mercato che li compra ne valuta il prezzo in base al rischio di insolvenza. Più la percezione di questo aumenta e più il costo di rifinanziamento aumenta, fino all’insostenibilità finanziaria che poi porta all’insolvenza ed all’uscita dall’euro. E prima di questo porta alla crisi del sistema bancario italiano con riduzione del credito e innesco di una depressione economica.
Il mercato percepisce un rischio crescente al riguardo del debito italiano perché questo è troppo grande e perché l’economia non cresce abbastanza per reggerlo. Il pensiero prevalente in economia, correttamente, prescrive che per ridurre un debito nel tempo bisogna aumentare la crescita. Per riuscirci l’Italia dovrebbe svalutare la moneta, ridurre le tasse accendendo un deficit temporaneo notevole, liberalizzare. Ma non ha più sovranità monetaria, Ue e Bce non forniscono copertura a manovre di detassazione in deficit pur temporaneo e la liberalizzazione è contrastata dagli interessi corporativi che ne sarebbero colpiti.
Non potendo risolvere il problema con più crescita, l’Italia non può far altro che rendere credibile il proprio debito non facendone più. Questo è il motivo dell’obbligo assunto in sede europea, e di fronte ai mercati, di arrivare entro il 2014 al pareggio di bilancio, cioè di tagliare, in relazione a oggi, almeno 40 miliardi strutturali di spesa pubblica. Ma non basterà. All’Italia sarà richiesto anche di ridurre progressivamente il volume del debito. Quindi, nel prossimo decennio l’Italia dovrà tenere il deficit zero, dedicare una parte della spesa pubblica, nonché vendere una fetta del patrimonio, alla riduzione del volume assoluto del debito e anche crescere di più.
Questo è il percorso se l’Italia vuole restare nell’euro. Non è infattibile. Non implica nemmeno l’abolizione dello Stato sociale, in quanto ci saranno comunque le risorse per tutelare chi ha veramente bisogno e per mantenere pensioni, sanità e istruzione decenti. Ma non ci saranno più le risorse per finanziare un sistema pubblico troppo esteso.
In un decennio, da un primo calcolo, circa due milioni di persone dovranno passare dal mercato protetto o da un posto pubblico al mercato privato e tutta la popolazione dovrà contare più sulle proprie forze, diventare competitiva.
Oggi la politica non sta comunicando questo scenario per paura di essere travolta dal dissenso. Ma solo la verità può permettere un cambiamento governabile, pur sofferto.