Nell’Unione europea alcuni governi, da sempre, fanno resistenza passiva su un’assunzione di responsabilità. E questo semplicemente perché sono più distanti dal focolaio principale: tutto quello che si manifesta come fattore di crisi nel Mediterraneo si illudono non possa toccarli perché si affacciano sul Baltico piuttosto che sul mare del Nord. Su 27 paesi facenti parte dell’Unione Europea, attualmente sono solo 10 quelli che accolgono regolarmente i rifugiati extra-Ue, e la consultazione reciproca e il coordinamento sono spesso insufficienti se non addirittura inesistenti. Tra questi paesi, l’Italia è quello che forse risente di più di questa mancanza di coordinamento, ma anche di solidarietà tra Stati. Per questo il fatto di essere riusciti a convincere l’Ue (tutti i 27 paesi) a farsi carico di questo fenomeno migratorio epocale costituisce una grande conquista da parte del Governo italiano.
Le dichiarazioni del Commissario Barrot, al contrario di come qualcuno vorrebbe far credere agli italiani, sono in piena sintonia con l’operato del Governo italiano: innanzitutto sui respingimenti di immigrati clandestini Barrot ha affermato di «non ritenere che ci sia nulla contro il respingimento dei clandestini in sé, a parte la difficoltà ad individuare se tra questi ci siano persone che hanno il diritto di chiedere asilo». Ed è su questo punto che la Commissione Ue ha chiesto chiarimenti all’Italia. «Non dobbiamo accettare con un certo lassismo l’immigrazione illegale sulla quale dobbiamo essere molto fermi, ma dobbiamo anche ricordare ai cittadini il dovere di asilo», ha continuato il vicepresidente della Commissione Ue. Ieri durante un’audizione presso la Commissione Giuridica al Parlamento europeo Barrot ha ribadito che l’immigrazione resta uno dei temi principali. La Commissione calcola che ammontano a otto milioni gli immigrati clandestini presenti sul territorio dell’Unione. In tal senso, i paesi europei dovranno dotarsi di una strategia comune per gestire meglio le frontiere, rafforzando il ruolo di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere. Dovrebbe inoltre proseguire la politica di detenzione ed espulsione degli immigrati clandestini, incoraggiando anche i rimpatri volontari.
Le cifre rese note dall’agenzia dell’Onu per i rifugiati (Acnur) rafforzano la convinzione che si tratti di una vera e propria emergenza globale con al centro proprio il nostro continente. Sono 747mila i rifugiati in attesa di trasferimento. Solo 66mila hanno trovato una nuova collocazione nel 2008 e di questi appena 4.378 sono stati accolti nell’Ue. Tale cifra è di gran lunga inferiore rispetto agli altri paesi industrializzati, in particolare Usa, Canada e Australia.
Il piano per la redistribuzione di chi ha diritto all’asilo conferisce finalmente all’Unione europea la facoltà di indirizzare in maniera logica gli immigrati riconosciuti come rifugiati che sbarcano sul fronte meridionale dell’Ue. Si punta così a migliorare la risposta europea al problema e a ridurre il numero di rifugiati che rischiano la vita per raggiungere clandestinamente le coste dell’Ue. Ulteriore obiettivo è quello di semplificare le procedure di accoglienza e ottimizzarne i costi, migliorando nel contempo l’impatto umanitario e politico delle azioni nazionali di reinsediamento. Per incoraggiare la partecipazione, ogni paese riceverà 4mila euro per ciascun rifugiato accolto. Il programma prevede anche l’istituzione di un gruppo di esperti per identificare le categorie di rifugiati che meritano priorità, ad esempio i rifugiati iracheni in Siria e Giordania o i rifugiati sudanesi in Ciad. Il nuovo ufficio europeo di sostegno per l’asilo aiuterebbe i paesi partecipanti a svolgere le azioni comuni, come la selezione dei beneficiari e le missioni esplorative.
Per la prima volta l’istituzione Commissione prende in considerazione la richiesta italiana di “spalmare” la presenza dei rifugiati tra i paesi membri. A confermare l’importanza della decisione stavolta c’è lo stanziamento: 614 milioni di euro per il quinquennio 2008-2013.
L’azione dell’esecutivo europeo si dimostra dalla parte delle scelte del Governo Berlusconi, in contrapposizione con chi fornisce del nostro Paese e della politica italiana una linea e un’immagine caricaturale, fatta di «mandiamoli tutti a casa». Cosa che non ha nessun senso né dal punto di vista sociopolitico, né dal punto di vista di ciò che l’Italia ha già messo in campo, rischiando di compromettere l’azione del Governo di cui fa parte.
Siamo sulla strada giusta. Ora dobbiamo proseguire a lavorare per un’impostazione della società europea in cui, di fronte al principio di libera circolazione delle persone, ci si dia delle regole di convivenza civile, perché l’integrazione non si scontri con le esigenze di sicurezza e perché la convivenza avvenga senza conflitti. Però tutto questo trova la sua ragion d’essere se conveniamo su questo: su quelle barche ci sono persone che vengono da noi perché nel loro paese spesso vivono situazioni di fame e di guerra, situazioni estreme di fronte alle quali deve trionfare sempre quello spirito di solidarietà che è prerogativa del modello di convivenza civile europeo.