Nell’articolo precedente abbiamo elencato alcune proposte per il governo Letta, chiamato a riformare entro fine agosto il settore dell’edilizia abitativa. Dopo i primi quattro punti, mirati a evidenziare alcune disparità evidenti nella tassazione, passiamo ad altre sei proposte.
5. Dall’espansione edilizia alla riqualificazione urbana. Va riformata all’insegna dello sviluppo sostenibile la legislazione urbanistica (la cui legge fondamentale risale al 1942) per favorire la riqualificazione delle città, dei quartieri e delle zone artigianali-industriali mal costruite. Su questo aspetto i comuni dovrebbero individuare in modo puntuale e lungimirante, all’interno di un percorso partecipativo, le zone del proprio territorio degradate e quelle da riqualificare. Occorre coinvolgere le categorie degli ingegneri, degli architetti, delle imprese e del movimento cooperativo per effettuare uno screening a tutto campo sugli immobili, soprattutto quelli costruiti prima degli anni ’70, individuando quelli che necessitano di radicali lavori di consolidamento statico e di efficientamento energetico. Vanno poi individuati gli edifici che, per varie ragioni, dovrebbero essere abbattuti perché posti in zone da liberare da ogni costruzione e quelli da riqualificare con significativi interventi di ristrutturazione.
6. Va sbloccato e reso più accessibile il credito. Da un paio di anni quasi tutte le banche non concedono più mutui-cantiere per nuove operazioni immobiliari e anche l’assunzione di mutui per l’acquisto di un alloggio è diventata più difficile e onerosa. Per favorire la concessione di mutui-cantiere e di mutui per l’acquisto della prima casa, una parte della fiscalità delle compravendite immobiliari dovrebbe essere utilizzata dallo Stato per creare un fondo di accesso al credito o per la concessione di mutui agevolati di lunga durata. Se negli anni ‘50 il finanziamento al settore della casa proveniva in gran parte dalle trattenute sulla busta paga dei lavoratori, ora per rilanciare l’attività edilizia e le compravendite il legislatore dovrebbe prevedere che lo 0,5% delle entrate dalle compravendite, ritorni al settore con la concessione di mutui agevolati, coinvolgendo le banche, la Cassa depositi e prestiti, la Bei, ecc. Questo consentirebbe a molti giovani di potersi acquistare una casa e favorirebbe gli interventi di riqualificazione urbana da parte degli operatori del settore.
7. Vanno approvate nuove direttive per le regioni per valorizzare la funzione sociale del patrimonio abitativo pubblico, in merito a durata ed entità dei canoni, favorendo la mobilità in uscita e rendendo più facile l’accesso evitando il depauperamento strisciante dello stock abitativo pubblico.
8. Va creato uno stock di alloggi per il ceto medio-basso. Un parco alloggi di proprietà di soggetti non profit, dei fondi immobiliari, che danno alloggi in locazione è quanto mai necessario per soddisfare la domanda abitativa che non riesce ottenere l’assegnazione di un alloggio pubblico e non è in grado di acquistarne uno sul libero mercato. Vanno quindi previsti contributi per cooperative e imprese per la realizzazione di alloggi da dare in locazione.
9. Va modificato il decreto legislativo 20/06/2005 n. 122 in ordine alle polizze fideiussorie sugli acconti rendendole di più facile emissione e nella tutela degli acquirenti di immobili in costruzione. Vanno invece esentate da tale obbligo le caparre fino al 10% del prezzo.
10. Va modificata la legislazione sull’Imu riducendo l’aggravio sugli alloggi locati a canoni concertati (art. 2 comma 3 l. 431/98) e vanno esentati per 5 anni gli alloggi di nuova realizzazione e quelli completamente ristrutturati. Va anche esentato il pagamento dell’Imu per la parte mutuata. Per le imprese poi va introdotta la regola della deduzione dell’imposta patrimoniale dall’imposta sul reddito.
Questi dieci linee guida potrebbero essere attuate a parità di entrate per l’erario. Come? Lasciando inalterate le aliquote riguardanti compravendite fuori dall’ambito della prima casa, ma contemporaneamente prevedendo che la tassazione sia sul prezzo e non sul valore catastale, come detto in precedenza (e come avveniva fino a qualche anno fa). Per quanto riguarda invece l’aliquota relativa alle compravendite della prima casa, quella riguardante gli atti tra privati andrebbe innalzata dal 3% al 3,5% del prezzo di cessione (fino a qualche anno fa era al 4%), disponendo, per non creare disparità nel caso di acquisto da imprese (attualmente con Iva al 4%), un credito d’imposta relativo all’eccedenza di Iva versata. Quanto sopra e con il risparmio di cui al punto 3 potrebbero essere rinvenute le risorse per pareggiare le minori entrate statali di cui abbiamo parlato ai punti 2, 4 e 10 e per costituire i fondi descritti ai punti 6 e 8.
Il dibattito è aperto, altri contributi sono sempre ben accetti, nella speranza che il legislatore tenga in considerazione lo stato di estrema gravità in cui si trova un settore così centrale per la nostra economia e che riguarda un bene così importante per le famiglie quale la casa.
(3 – fine)