L’accusa è diretta e parte dai grillini: scuola italiana venduta a McDonald’s. Bomba? Bufala? Prima i fatti signori: una primaria di Campobasso, e poi le altre di Sesto San Giovanni, Pescolanciano e Jesi sono solo alcune delle scuole che hanno ricevuto il premio qualche giorno fa dal colosso dei fast food internazionali, all’interno del progetto “McDonald’s premia la scuola” che durante i sei mesi di Expo 2015 ha sviluppato un montepremi complessivo di 250mila euro: chiedeva di votare sul web la propria scuola con la possibilità di assegnare una quantità di punti proporzionale alla spesa effettua in ogni ristorante McDonald’s. Ogni euro speso vale un punto, e in questo modo le prime classificate in ogni regione italiana hanno vinto il premo di 8mila euro che consisteva in un kit didattico e tecnologico utilizzabile dalla scuola. Ed è subito polemica: il Movimento Cinque Stelle accusa lo stato italiano e il ministero di aver sostanzialmente venduto la scuola ai colossi delle multinazionali del Junk Food in modo “indegno, con la scuola che diventa preda dei privati e degli sponsor”. Il Governo inuma primo momento incassa il colpo ma poi reagisce con il sottosegretario al Miur, Davide Faraone, che su Facebook – clicca qui per il post – replica in questo modo: «Due semplici verità per mettere a tacere una polemica pretestuosa e inutile: abbiamo raddoppiato il fondo di funzionamento alle scuole, dotandole di risorse con le quali garantire servizi efficienti e una programmazione mirata e stabile. Abbiamo inserito l’educazione alimentare tra gli obiettivi principali della legge 107 e continuiamo a investire su questo capitolo anche con fondi extra, come quelli derivanti dalla 440. Ma verità ancora più importante: abbiamo fiducia nelle scuole. È finita l’era del centralismo ministeriale». Insomma, la polemica che sa un po’ di gusto retro nella lotta, fine a se stessa, scuola privata/pubblica, rispunta sempre con le argomentazioni del M5s che non sono certo strampalate ma che forse non intercettano una verità. Non è partecipando ad una raccolta punti per ottenere fondi alle scuole in crisi – finite tali non certo per colpa delle private paritarie, ma per un assoluto e ostinato centralismo statalista – che la scuola si vende alle multinazionali: la battaglia sul cibo, come quella scuola è compito di una sfida educativa e non certo per prima cosa politica.