“La sinistra, come diceva Bobbio, dovrebbe avere un progetto che tende all’uguaglianza degli uomini. A me pare che questo progetto non ci sia”. Lo dice Emanuele Macaluso, sindacalista, memoria storica del comunismo italiano, riformista e amico di Giorgio Napolitano. Il vecchio Pci non ha segreti per lui. Macaluso (che oggi compie 90 anni) considera chiusa la storia del partito di Gramsci, Togliatti e Berlinguer con la svolta della Bolognina nell’89. Dopo di allora ciò che è rimasto, sotto la pelle dei nuovi nomi, ha rinunciato ad approfondire le ragioni di una storia e per questo non è più stato capace di futuro. Fino all’epilogo, quando un elemento estraneo, Matteo Renzi, ha dato la scalata ad un Pd svuotato e dedito solamente alla gestione del potere. Macaluso ha consegnato queste riflessioni al suo ultimo lavoro, Comunisti e riformisti. Togliatti e la via italiana al socialismo (Feltrinelli, 2013).
Perché il Pci-Pd non ha più avuto un progetto, un “orizzonte” – come lei lo chiama nel suo libro – necessario per dare una politica alta a questo paese?
Lei li mette insieme, ma il Pci col Pd non c’entra nulla. Il secondo è solo il frutto di una fusione a freddo di due entità molto diverse, i Ds e la Margherita, con valori e storie diversi. Come tale ha fatto l’unica cosa che poteva fare: adagiarsi nel governo dell’esistente, senza nulla che assomigli a un progetto sul futuro dell’Italia.
Che cosa gli manca?
Io ho sempre pensato che un partito è vitale se ha un asse politico-culturale e se ha un orizzonte non per prefigurare una società disegnata a tavolino, ma per vedere quali sono le linee fondamentali su cui spingere avanti la società. Questo orizzonte il Pci l’aveva perché il suo obiettivo era la via italiana, democratica al socialismo. Essa prevedeva il superamento del capitalismo come sbocco democratico ddella società che c’era allora. Quando il Pci è finito, i partiti che sono venuti dopo non hanno più individuato la strada.
Anche all’epoca del Pci però c’era la via socialdemocratica.
I partiti socialdemocratici sono sì riformisti, ma nel senso di lavorare per una riforma del capitalismo dentro il sistema capitalista: lavoriamo per una riforma del capitalismo, d’accordo, ma qual è il capitalismo che vogliamo? Oggi perfino Obama dice che il capitalismo globale accresce le differenze sociali.
Il partito di Matteo Renzi non potrebbe essere, come 50 anni fa, la “democrazia che si organizza”, per usare le parole di Togliatti? In fondo è stato legittimato dalle primarie.
Non scherziamo. Matteo Renzi, come tutto il Pd attuale, non ha mai detto una parola sui problemi che attengono all’assetto di una società in profonda crisi come la nostra. E il motivo è che lui e questo Pd sono del tutto interni al sistema che governano e di cui fanno parte.
Il suo giudizio su Renzi è sempre così severo?
Renzi è addirittura un’altra “cosa” che ha scalato il Pd. Il Pd era un partito scalabile e lui lo ha scalato. Volete le primarie? Eccovi accontentati. Ma le primarie sono una forma di populismo, non di partecipazione attiva e consapevole. Sia chiaro: è discutibile il modo con cui Renzi ha trattato il presidente uscente Letta, ma è legittimamente presidente del Consiglio per le regole che il Pd si è dato. Detto questo, io spero che Renzi abbia successo, perché dietro di lui non vedo alternative. È l’ultima spiaggia.
È per questo che riesce a portare con sé anche l’opposizione interna del partito?
Certo. Gli altri non hanno progetti alternativi, spendibili e comprensibili. Per questo cercano o hanno già trovato un casella dove stare.
Lei, Macaluso, è un riformista storico. Non è riformista impegnarsi a dare 80 euro in più in busta paga ai dipendenti?
È un riformismo sì, ma nell’assetto dei poteri e della società esistenti. Rispetto alla destra, che non ha la vocazione di capire gli operai e i lavoratori che hanno pagato di più il prezzo della crisi, le dico che Renzi fa bene a dare quella somma. Ciò detto, resta che non ha un progetto, è solo uno che vuole sistemare un po’ meglio la baracca di oggi.
Però ha portato il Pd nei Socialisti europei, gli eredi dei vecchi, odiati socialdemocratici. Nessuno ha battuto ciglio. Non è una svolta?
Ritengo che sia una decisione giustissima e sacrosanta, perché in Europa ci sono solo due blocchi, quello di centrodestra, in cui si trova Berlusconi, e quello di centrosinistra dove c’è il socialismo europeo. O stai da una parte o stai dall’altra, stare fuori significa non contare nulla. Poi, si tratterà di vedere se Renzi sta nel Pes solo per avere una casella o per fare una battaglia politico-culturale, per costruire un’Europa dei lavoratori e non solo un’Europa delle banche.
Proprio le banche e i grandi capitali sono sospettati di avere favorito l’ascesa di Matteo Renzi.
Lo so benissimo. Il suo è un interclassismo nuovo, maccheronico, casereccio. Nulla a che vedere con l’interclassismo di De Gasperi, che trattava con la Confindustria o con la Cgil di Di Vittorio forte dell’autonomia di chi aveva al suo interno le Acli e la Cisl. Quello di Renzi è l’interclassismo di chi ha l’amico finanziere, l’amico industriale, l’amico sindacalista, l’amico di sinistra, l’amico di destra, il plauso di Briatore.
È l’interclassismo della nuova sinistra.
Sì e non mi stupisco. Sono i tempi in cui la battaglia politica si è separata da tempo dalla battaglia culturale.
A proposito di battaglia culturale. Lei e il suo amico Giorgio Napolitano avete vinto o avete perso?
Abbiamo perso, perché non c’è un partito che ha come asse politico le idee per le quali Napolitano, Lama, Bufalini, Chiaromonte e io ci siamo battuti. Da questo punto di vista siamo stati sconfitti. Ma per il modo in cui Napolitano è stato il presidente di tutti gli italiani e ha fatto il garante della Costituzione, la nostra è senz’altro una vittoria.
La legge elettorale è molto controversa. Napolitano non ha lasciato trapelare nulla. Che cosa farà?
Lo sa solo Napolitano e mi rifiuto di fare il suo interprete.
Però le preferenze potevano metterle… o no?
E lo chiede a me? Io ritengo che non le preferenze ma la preferenza, unica, sarebbe stata la rivoluzione vera. Finalmente i partiti si sarebbero liberati dei loro tutori. Sparare contro le preferenze come se ancora fossimo negli anni 70 è pura stupidità. Al contrario, sarebbe la medicina più forte per un sistema che ha bisogno di respiro e autonomia.
Peccato che il patto Renzi-Berlusconi sembri escluderle in modo categorico.
Ma quel patto è stato fatto essenzialmente per questo; si può toccare tutto, tranne la preferenza.
Lei oggi difenderebbe ancora integralmente la Costituzione del ’48, frutto del lavoro di Palmiro Togliatti?
Sì, anche se so bene che c’è un problema. La Costituzione ha improntato di sé un intero sistema parlamentare, però presuppone l’esistenza dei partiti. Senza partiti quel sistema è zoppo e tutti i problemi che abbiamo derivano da questo. Ora i partiti non ci sono più: quelli che vediamo sono solo aggregati politico-elettorali.
Nemmeno cambierebbe il Senato?
Il bicameralismo perfetto si può cambiare, ma non come vogliono fare adesso. Se oggi con l’articolo 138 intendo abolire il Senato, perché domani, grazie ai nominati che ho fatto eleggere, non potrei abolire la Camera? Il fatto è che siamo di fronte a problemi molto seri affrontati con incredibile superficialità.
Non è stato il Pci di Togliatti a non voler regolare lo statuto dei partiti?
È vero, ma allora non si pensava di dare ai partiti un controllo esterno. Oggi sarei favorevole a una certa regolamentazione. Nel momento in cui hanno avuto il finanziamento, occorre verificare come vengono usati i soldi. Quello che è avvenuto in questi anni è avvilente… si è arrivati al punto che si dà una somma ad ogni parlamentare! Ma nella Costituzione tutto questo non c’era. È stata la seconda Repubblica, non la prima, a introdurre questa vergogna…
(Federico Ferraù)