Sabato 15 febbraio ho tenuto un convegno dal titolo “Uscita dalla crisi”, insieme all’economista Nino Galloni, moderato da Raffaele Iannuzzi. A questo tipo di incontri, dedicati alla crisi economica, l’affluenza e sempre maggiore, poiché la crisi avanza e ormai tutti sentono il bisogno di risposte che la politica non riesce più a dare. Anche l’ultimo indecoroso teatrino del cambio di governo conferma l’impressione di una classe politica totalmente inerme di fronte agli eventi: ormai il paravento dell’emergenza, per cui non è possibile andare a nuove elezioni, non regge più, poiché i continui cambi di governo rendono sempre più evidente la sostituibilità e l’inutilità di chi ci governa. Se infatti l’unico obiettivo è quello di non scontentare l’Europa e di subirne i diktat, senza denunciarne le incoerenze e i risultati disastrosi, quale differenza può fare un Presidente del Consiglio piuttosto che un altro?
L’unico risultato concreto è l’aumentata sensazione di distanza del potere dalle esigenze del popolo. E di fronte a questo, pur se andando a tentoni, si cercano risposte diverse, anche impensate fino a oggi. E quando si trovano risposte sensate, ragionevoli e dense di significati morali, allora la passione per il bene comune e per l’azione si riaccende. E questo è quello che è successo anche con questo convegno, svoltosi in una sala della parrocchia di S. Giuseppe a Pavona, frazione del comune di Albano Laziale, poco fuori Roma. Questo è un passaggio importante, perché mi pare che tutto il mondo cattolico, soprattutto quello impegnato nel sociale, stia vivendo un momento di fibrillazione, sentendosi come tradito dalle istituzioni laiche. E inizia a muoversi alla ricerca di nuovi punti di riferimento, ideali e sociali, da coltivare e sviluppare per il bene comune.
Diventa sempre più chiara la percezione che non è possibile più difendere l’esistente, in attesa che passi la tempesta, ma occorre rifondare l’edificio della convivenza civile. Tornano alla mente le parole, che già altre volte ho richiamato, del cardinal Caffarra, contenute nella lettera ai fedeli in occasione delle elezioni del marzo scorso: “La vicenda culturale dell’Occidente è giunta al suo capolinea: una grande promessa largamente non mantenuta. I fondamenti sui quali è stata costruita vacillano, perché il paradigma antropologico secondo cui ha voluto coniugare i grandi vissuti umani [per esempio l’organizzazione del lavoro, il sistema educativo, il matrimonio e la famiglia …] è fallito, e ci ha portato dove oggi ci troviamo. Non è più questione di restaurare un edificio gravemente leso. È un nuovo edificio ciò di cui abbiamo bisogno. Non sarà mai perdonato ai cristiani di continuare a essere culturalmente irrilevanti.” E più avanti richiama un principio fondamentale, dai nostri governanti completamente dimenticato nei fatti: “Il sistema economico deve avere come priorità il lavoro: l’accesso al e il mantenimento del medesimo. Esso non può essere considerato una semplice variabile del sistema”.
E proprio a tal proposito, segno di una sensibilità sempre maggiore della Chiesa su questo dramma dell’epoca moderna, vi sono le parole di papa Francesco, nella recentissima esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Così come il comandamento ‘non uccidere’ pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e dell’iniquità. Questa economia uccide” (n. 53). Uccide davvero, non per modo di dire: come quel panettiere, che si è tolto la vita, dopo aver ricevuto una multa da 2000 euro perché una visita di ispettori del lavoro avevano rilevato la presenza della moglie in negozio senza un regolare contratto.
Così continua il Papa: “In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della ‘ricaduta favorevole’… Questa opinione, mai confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante”.
Si tratta di un attacco durissimo al “sistema economico imperante”. Se il Papa fosse preso sul serio, il giorno dopo la pubblicazione di questo documento avremmo dovuto leggere su tutti i quotidiani titoloni del tipo “Il Papa attacca l’Euro” oppure “il Papa attacca la Bce”, ma nulla. In fondo, questo è il primo livello della persecuzione a livello culturale: ignorare l’avversario. Non so se questa è la prima volta che in un documento della Chiesa si entra così nel dettaglio di una teoria economica, contestandone uno dei dogmi in maniera così precisa e puntuale. Ma non basta, viene attaccata anche l’ideologia liberista da cui proviene questa impostazione: “Mentre i guadagni di pochi screscono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone in modo unilaterale e implacabile le sue leggi e le sue regole. Inoltre il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto” (n. 56).
Una “nuova tirannia”. Davvero parole di fuoco. A cui la Chiesa italiana sembra rispondere, convocando un Convegno Pastorale Nazionale che si svolgerà a Roma dal 24 al 26 ottobre, dal titolo “Nella precarietà, la Speranza”, a cui sono invitati a partecipare i delegati della Pastorale Sociale, della Famiglia, della Pastorale Giovanile e delle Aggregazioni Laicali.
Finora i grandi assenti, sia nelle azioni che nel dibattito culturale, sembrano i laici: avete sentito affermazioni del genere da economisti o politici cattolici? Io no, ma forse sono stato distratto. Comunque è ora di muoversi e di farsi sentire. “Non sarà mai perdonato ai cristiani di continuare a essere culturalmente irrilevanti”.