Forse il 6 dicembre 2012 può passare alla storia d’Italia come la giornata più convulsa della cosiddetta seconda repubblica, o, ormai, di quello che resta di questa seconda repubblica. Il “governo dei tecnici” presieduto da Mario Monti, nato in nome della lotta allo spread, al collasso finanziario e per ritrovare una credibilità internazionale, è riuscito per un anno a coprire le grandi contraddizioni politiche presenti nel Paese, con la costituzione di quella che è stata definita una “strana maggioranza”. In altri termini una coalizione parlamentare vastissima, mai verificatasi nella storia della Repubblica, che era pronta a votare provvedimenti necessari dimenticando la sua stessa appartenenza politica (e la conflittualità esasperata di questi anni) in una sorta di maggioranza di unità nazionale, di grande coalizione finalizzata all’interesse del Paese.
Questa operazione, sponsorizzata e curata con attenzione dal Presidente della repubblica, non è stata sempre lineare. Il cosiddetto “atto di responsabilità” di Silvio Berlusconi, fatto un anno fa, è stato un boccone tanto amaro per il Pdl, e per il cavaliere in particolare, che il Pd aveva addirittura festeggiato per le strade con manifestazioni di giubilo decretando la “fine del berlusconismo”. Non proprio un gesto di riconciliazione nazionale. Ma forse questo poteva anche essere digerito dal Cavaliere se avesse ottenuto una “via d’uscita onorevole”.
Ma nel giro di quaranta giorni, si è verificato un cortocircuito che ora sta decretando l’agonia del “governo dei tecnici” (che era già l’agonia della seconda repubblica) e prepara una campagna elettorale dai toni accessi, conflittuali e su un terreno avvelenato.
Facciamo una breve sintesi. Il 24 ottobre 2012 Berlusconi dichiara di voler lasciare la grande partita politica, dando un’investitura ancora maggiore ad Angelino Alfano, e stila una lettera di commiato che viene apprezzata da tutti, per il sostanziale appoggio che offre anche al “governo Monti, riservandogli solo qualche critica di politica economica.
Il 26 ottobre del 2012, alle 17 e 30, le agenzie battono questa notizia: “Nell’ambito del processo sui diritti tv Mediaset, Silvio Berlusconi è stato condannato a 4 anni di reclusione e a tre anni di interdizione dai pubblici uffici”. Dal 27 ottobre, di fatto, tra primi ripensamenti e poi altre dichiarazioni, il Cavaliere, furibondo, ritorna in campo, scompaginando lo stesso Pdl, rimettendo in discussione tutto il centrodestra e, di fatto, esautorando la nuova leadership di Angelino Alfano.
Mettiamo poi nell’ordine altri avvenimenti. Il primo: le elezioni siciliane del 30 ottobre 2012, con un record d’astensione che arriva al 53%, un clamoroso successo delle liste di Beppe Grillo (quello che è bollato come antipolitico) e la vittoria della lista del centrosinistra che, per effetto della originale legge elettorale siciliana, promuove un Presidente a governare con una minoranza o una alleanza appiccicata con i cerotti.
Si aggiunga a tutto questo il secondo punto, cioè i dati raggiunti con la politica di austerità seguita dal “governo Monti”: crollo del Pil e aumento dello stock del debito, aumento della disoccupazione e crollo dei consumi, prospettiva di una crescita sempre promessa, mai realizzata e ora addirittura rinviata a medio e lungo termine.
Terzo punto. La permanenza di conflitti istituzionali all’interno delle Repubblica che creano quasi sgomento: la magistratura ha condannato i sismologi che non hanno previsto il terremoto dell’Aquila; la magistratura è intervenuta sulla questione dell’Ilva di Taranto, provocando un putiferio e costringendo il governo a un decreto per smentirne le decisioni. Infine, “last but not least”, il contenzioso davanti alla Consulta tra l’organo monocratico, la Presidenza della Repubblica, e la procura di Palermo in materia di intercettazioni sulla storia dei rapporti tra Stato e mafia.
Di fronte a tutto questo “frullato” impazzito di contraddizioni, le stesse “primarie”, positive e ammirevoli del Partito democratico, assumono un peso relativo rispetto allo stato del Paese e alle spaccature profonde che esistono tra i protagonisti della nostra lotta politica e del disordine istituzionale.
Forse si è aspettato che lo spread si raffreddasse un attimo, che l’eurozona fosse apparentemente più al sicuro dopo gli interventi del presidente della Bce, Mario Draghi, per ritornare ai fasti o ai fescennini dello scontro al calor bianco.
Ieri Berlusconi non è solo tornato in campo, non solo ha fatto prendere le distanze dal “governo dei tecnici” da parte di un frastornato Pdl (con alcuni deputati come Frattini, Cazzola, Pisanu che non hanno seguito l’ordine del Cavaliere), ma ha di fatto esautorato la maggioranza astenendosi sulla fiducia al “governo”, riservandosi solo l’approvazione dei provvedimenti. Ha così creato una situazione istituzionale anomala: c’è ancora un governo senza più la maggioranza; ci sono meno di dieci giorni di tempo per preparare una nuova legge elettorale; viene approvato una legge sulla “incandidabilità” alle elezioni che cerca di “salvare capre e cavoli”; c’è una confusione politica e istituzionale senza precedenti. E, come un pokerista consumato “piatto ricco, mi ci ficco”, il cavaliere ha preso la palla al balzo per radicalizzare lo scontro, ultima chance di un protagonismo politico durato ben venti anni.
Oggi dovrebbero esserci dei chiarimenti, con un colloquio al Quirinale tra il Presidente della Repubblica e Angelino Alfano, formalmente ancora leader del Pdl. Che cosa può nascere da questo incontro?
Una ricomposizione della maggioranza per portare il governo alla scadenza naturale? A questo punto, le previsioni possono interessare i bookmakers inglesi più che gli osservatori politici onesti. In questo modo, di fatto, si apre una campagna elettorale con quattro soggetti politici. Il favorito “alla minoranza relativa”, Pier Luigi Bersani; il jolly Beppe Grillo, che esiste sempre insieme all’astensionismo nonostante alcune notizie rassicuranti dei sondaggisti; il Cavaliere Berlusconi pronto a dare battaglia a tutto campo contro i “resti” del comunismo e il fallimento dei “tecnici”; un soggetto di centro, tutto da formare e con poco appeal in uno scontro di questo tipo. C’è un clima da “tempesta perfetta”, dicono molti osservatori e speriamo che siano pessimi aruspici. Ma è chiaro che la crisi politica italiana, unita alla crisi economica, difficilmente si può sanare ormai con appelli alla buona volontà, al senso etico, alla responsabilità e a qualche pennellata di ipocrisia.