Sottosegretario Giovanardi, nel dibattito attuale sui temi della famiglia tutta l’attenzione è incentrata sul riconoscimento di “nuovi diritti fondamentali” alle coppie omosessuali, ad esempio per l’introduzione del matrimonio omosessuale o delle unioni civili registrate. A suo parere quali sono i problemi reali che riguardano le famiglie italiane e quali sono le urgenze politiche in questo campo?
Distinguiamo due piani, uno definito dalla Costituzione laica e repubblicana che sancisce essere la famiglia società naturale fondata sul matrimonio, questa è la famiglia definita dalla Costituzione, questo deve essere il soggetto primario della politica pubblica. Una famiglia che accetta un riconoscimento pubblico, che accetta di affrontare diritti e doveri, che ha una sua potenziale stabilità ed è il luogo naturale dove nascono e crescono i figli. Poi ci sono altre multiformi relazioni affettive: un uomo e una donna che vivono insieme e non intendono sposarsi, che vogliono essere coppia di fatto senza ulteriori complicazioni. Ci sono uomini e donne omosessuali, ma ci sono anche altre forme di convivenza, quelle di cui anche l’ex ministro Bindi ha parlato più volte: le coppie di fatto possono essere anche zii e nipoti, senza che l’orientamento sessuale abbia un valore all’interno della coppia. Sono situazioni che devono essere rispettate e tutelate per i diritti individuali dell’uno o dell’altro convivente, ma non rappresentano la famiglia della Costituzione. Se ci sono diritti negati o prevaricazioni, si interverrà sul codice civile. Introdurre nel nostro ordinamento forme di matrimonio diverse da quelle previste dall’ordinamento stesso non è nell’agenda politica di questo governo.
Secondo lei ci sono principi costituzionali che ancora non hanno ricevuto una piena attuazione nella legislazione e che invece potrebbero sostenere la vita quotidiana di tante famiglie?
Sì, ci sono principi generali e articoli non ancora applicati. La Costituzione parla per esempio di tutela della gioventù, naturalmente di tutela della famiglia, però sono indicazioni generali che non sono declinate nella legislazione vigente e attendono un’applicazione. Basti pensare al diritto di sciopero. Certamente dalla nostra Costituzione non si possono trarre indicazione e orientamenti per sostenere l’introduzione del matrimonio omosessuale, non ce n’è traccia né nei lavori preparatori né in quello definitivo. Era chiaro che per i Costituenti la società naturale fondata sul matrimonio fosse l’incontro tra un uomo e una donna. Non si sono posti il problema che potesse essere diversamente.
Un anno fa in Italia si è discusso del disegno di legge sui Dico, progetto che poi non è stato realizzato anche per le difficoltà a conciliare questo istituto con i principi costituzionali in materia di famiglia. Qual è la sua opinione o i suoi auspici?
In Italia questo argomento è archiviato e non è nell’agenda politica. Nell’agenda politica c’è invece la ratifica del Trattato di Lisbona ed è un discorso molto serio da affrontare, perchè chi ratifica Lisbona costituzionalizza ciò che decidono le Corti europee. L’Italia non ha inserito la clausola di salvaguardia come hanno messo Inghilterra e Polonia.
Può spiegare meglio?
In teoria ogni singolo paese ha un suo diritto matrimoniale. Poi esiste una giurisprudenza europea – in questo caso quello che è scritto nel Trattato di Lisbona – che è molto equivoco sul punto, perché potrebbe introdurre per via surrettizia nel nostro ordinamento altri tipi di riconoscimento delle unioni tra persone.
Il Governo come intende muoversi su questo punto?
È il Parlamento che lo deve ratificare e quindi bisogna chiarire bene cosa significa questa ratifica. Il Trattato porterà nel nostro ordinamento dei principi che attualmente non vi sono previsti, ma che vi saranno introdotti attraverso un’altra via. Occorre riunire esperti di diritto costituzionale e di diritto di famiglia per capire bene a quali rischi non possiamo andare incontro nel momento in cui si ratifica il Trattato.
Che interpretazione dà della bocciatura da parte dell’Irlanda al Trattato di Lisbona?
È l’espressione di un malessere diffuso in tutti i paesi europei, Italia compresa. L’idea di Europa che avevamo in mente era quella di Schumann, De Gasperi e Adenauer, una patria comune di popoli che avevano radici comuni, un modo di pensare comune. Oggi, invece, di questa Europa dei 27 vediamo la burocrazia e il deficit di democrazia che ne caratterizza le istituzioni. Assistiamo a decisioni che vengono prese lontano e che non sono discusse democraticamente, ma anzi si inseriscono pesantemente nella vita dei cittadini. Manca la percezione di “dove” siano discussi i provvedimenti e di chi lavori per farli. Non parlo solo di economia, o della famiglia, parlo anche del diritto alla vita, dell’eutanasia, del Protocollo di Groeningen, cioè dell’eutanasia per i bambini gravemente malati, della ricerca per la selezione eugenetica. Sono tante le cose che ci trovano in dissenso ma che, con le ratifiche, rischiano di entrare nel nostro ordinamento.