Non passa praticamente giorno in cui la sterlina non sia scesa, non ci sia una “banca d’affari che abbandona Londra”, magari persino per Milano, o che i dati su Pil e inflazione non diano conto di un ormai irrimediabile avvitamento dell’economia inglese. Chi legge i giornali si immagina probabilmente che Londra sia ormai una città post-conflitto nucleare, desolata e ostile. La Brexit è quella cosa “anti-democratica” e un po’ “razzista” che gli inglesi hanno votato, mentre l’Europa come noto è un faro di democrazia e civiltà che si distingue, per esempio, per la solidarietà disinteressata sui migranti; l’Austria, infatti, minaccia di chiudere il Brennero violando l’abc dell’Unione europea esattamente come gli inglesi, minacciano di chiudere la Manica.
La Brexit però non è disdicevole solo “moralmente”, ma è quella che cosa di cui gli inglesi si stanno già amaramente pentendo e se non lo hanno già fatto lo faranno presto, anzi prestissimo una volta che verranno colpiti duramente dove fa più male e cioè nel portafoglio.
Quasi quotidianamente i giornali danno appunto conto dell’imminente disastro economico-finanziario che la Brexit si porta con sé; ogni giorno la sterlina e la borsa inglese scendono, la disoccupazione sale e l’economia “va male”. Questa narrazione è frutto di una selezione delle notizie che sembra fatta apposta per provare una tesi precostituita, ma la realtà è molto meno netta. Non sappiamo se gli inglesi si pentiranno delle conseguenze economiche della Brexit; è possibile, ma a oggi di tutto questo disastro non c’è praticamente niente.
Possiamo anche dire che gli inglesi hanno sbagliato, ma per il momento non c’è nessuna prova che non sia in realtà una previsione sicuramente possibile esattamente come il suo contrario. Bisognerebbe per correttezza almeno ammettere che l’Europa sarà anche sulla carta un progetto fantastico, ma in pratica ha dato pessima prova di sé sia alla voce democrazia che economia, come dimostra lo stato in cui versa tutto il sud Europa per cui nell’attuale infrastruttura non c’è posto.
La Brexit è passata, secondo quasi tutti gli analisti politici, per le preoccupazioni dell’elettorato inglese sulla capacità all’interno dell’Europa di gestire i fenomeni migratori; anche in questo caso l’Europa non sta dando grande prova di sé o quanto meno ognuno gioca per sé esattamente come vuole fare la Gran Bretagna. I progetti “comuni” non esistono, esistono invece, eccome, gli interessi e i progetti dei singoli stati che minacciano la chiusura delle frontiere.
Torniamo ai dati economici. La disoccupazione in Gran Bretagna dal giorno della Brexit è scesa dal 4,9% al 4,5%, un sogno per un’Eurozona che oggi viaggia al 9,3% e che migliora esattamente come la Gran Bretagna (disoccupazione -10% dalla Brexit) nello stesso periodo. La borsa inglese dal giorno della Brexit ha fatto sostanzialmente la stessa performance del principale indice azionario europeo e chi avesse investito sulla borsa inglese il giorno dopo la consultazione oggi guadagnerebbe anche al netto del cambio meno favorevole. Il Pil inglese nel 2016 è cresciuto come quello dell’eurozona. L’inflazione che si sta affacciando in Inghilterra negli ultimi mesi è la conseguenza di una valuta debole, che però comporta anche una maggiore competitività.
La scommessa della Brexit è aperta esattamente come lo era dodici mesi fa e non c’è niente che faccia pensare che la Gran Bretagna la stia vincendo o perdendo; si potranno tirare le somme tra qualche anno, ma oggi tutto procede sostanzialmente come un anno fa. A dire il contrario si fa la figura che hanno fatto molti improvvisati esperti di cose americane: prima si prospettava un crollo delle borse che non è mai avvenuto e poi una riscossa dell’economia che non sta avvenendo. Degli effetti economici della Brexit per ora non possiamo dire praticamente nulla. L’ultima giornata di questo campionato è molto lontana.