In un certo senso, con il viaggio negli Stati Uniti e l’incontro con il Presidente Donald Trump di lunedì prossimo, il premier italiano del governo giallo-verde, Giuseppe Conte, esce da un quasi anonimato politico. Sinora, in prima battuta hanno giocato i Dioscuri del contratto, cioè i vicepresidenti Luigi Di Maio e soprattutto il leghista Matteo Salvini. Anche sui media esteri sono i due vicepresidenti a delineare il profilo dell’unico governo dichiaratamente populista d’Europa.
Tra i problemi dei migranti e i tentativi di nuove regole per i contratti di lavoro, con l’obiettivo primario del cambiamento, Salvini e Di Maio hanno tenuto inevitabilmente banco, essendo anche i leader dei due partiti di questa coalizione che si può definire eterogenea, non solo per caratterizzazione politica, ma anche per obiettivi e fini a medio termine.
Anche le puntualizzazioni critiche del ministro all’Economia, Giovanni Tria, lo spettro “del cigno nero” evocato dal ministro Paolo Savona, e la spalla pentastellata di Salvini nellaffare dei migranti, delle Ong e dei porti, il ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli restano sullo sfondo di un esecutivo bicolore, che sta toccando i due mesi di vita.
Un esecutivo che non sembra convincere gran parte dell’establishment tradizionale italiano, dalla Confindustria ai sindacati, all’intellighenzia un po’ “attempata” e anche un po’ monotona, allo stesso sistema dei media), ma gode, secondo i sondaggi, di una maggioranza di consensi popolari che supera il 60 per cento. Con questo occorre fare i conti.
Ed è a questo punto che di fatto Giuseppe Conte, il premier mediatore e probabilmente anche il garante delle scelte di fondo, obbligate, di Sergio Mattarella, va a presentare il nuovo populismo davanti a un capo, probabilmente populista anche lui secondo il linguaggio della politica tradizionale, che però ha una funzione importante: è niente meno che il presidente degli Stati Uniti, cioè del Paese che è ancora la potenza economica e militare più forte del mondo.
Fidarsi della linearità di Trump è un po’ problematico e lo sarà soprattutto per un uomo, un professore di diritto, come Giuseppe Conte. Ma non c’è dubbio che la contingenza politica nazionale e internazionale possono favorire il premier italiano in un dialogo con il presidente Usa fino a stabilire una sorta di corsia preferenziale per quanto riguarda gli affari europei e quelli mediterranei in particolare.
Il senso della misura di questo timore, più che di una speranza, lo fornisce il Corriere della Sera di ieri, con un editorialista-principe che impiega cinque colonne a spiegare che spesso vengono cacciati i governi che fanno bene, piuttosto quelli che fanno nulla e bene. Un rimpianto forse per Monti, ma una constatazione ovvia per l’attuale esecutivo. Poi ci sono ben due pagine di dialogo informale del giornale di via Solferino con Conte, che cercano quasi di assicurare i dissidenti di varia provenienza.
Giuseppe Conte rivendica con orgoglio di essere il premier di un governo populista, ma si affretta a precisare che la permanenza dell’Italia nella Nato e nell’euro non si discutono. Il ministro Tria sarà un “cerbero dei conti”, ma non abbandonerà il governo e quindi possono stare tutti tranquilli, anche gli alfieri della vecchia austerity e i nuovi confindustriali scalpitanti.
Il problema è poi il contesto internazionale. Dunque, il croupier Jean-Claude Juncker, magari dopo una bevuta di bourbon, ha abbracciato Trump davanti alle macchine fotografiche trovando un compromesso sui dazi. Per adesso. Ma di fatto Donald Trump, anche se poco lineare, non ha mai risparmiato critiche all’Europa, alla Germania in particolare. Si può mettere qualche cerotto, ma la ferita resta.
In più, in questo momento, l’Europa appare come un giocattolo rotto, con mille problemi di funzionalità, un “giocattolo” che deve essere aggiustato al più presto in qualche modo e con qualche riforma, prima che arrivi un’ondata anti-europeista degli stessi europei alle elezioni del prossimo anno. Né Angela Merkel, né l’ammaccato Emmanuel Macron sembrano in grado di assicurare un rilancio e di tamponare le falle europee. Occorre imboccare altre strade e battere altre piste.
E qui può arrivare il paradosso incredibile di un’epoca dove la politica è un residuato dell’intelligenza umana. L’attuale posizione del governo italiano, illustrata da un moderato come Giuseppe Conte, potrebbe giovare alla mediazione tra Stati Uniti e Unione Europea e potrebbe tracciare una sorta di pista privilegiata nei rapporti tra Usa e Italia, soprattutto per i problemi della stabilizzazione necessaria del Mediterraneo e del Nord Africa.
In definitiva, Trump potrebbe porsi come un mediatore tra i paesi del’Unione Europea che sono spesso in contrasto con la linea di Bruxelles e soprattutto quella di Berlino, e favorire quindi le esigenze anche dell’Italia.
E’ certamente una strada stretta e difficile e non va dimenticato che, alla fine, occorrerà anche che il governo di Giuseppe Conte si prenda la responsabilità di varare in autunno un bilancio credibile, su cui una mano dagli Stati Uniti può venire in aiuto come appunto una mediazione. Ma anche una utile mediazione non può di certo risolvere tutti i problemi della crescita, della stabilità e del rilancio economico italiano.
Il contesto internazionale al momento può aiutare, ma poi occorre avere l’accortezza e il coraggio di alcune scelte fondamentali all’interno del paese che ti assicura un sostegno al momento incredibile, appunto il 60 per cento. Gli italiani restano in attesa. Tocca ai politici del cosiddetto cambiamento giocare le carte utili e necessarie.