Chi è l'”interlocutore” che l’Europa dice di non avere in Italia? Lo scontro Juncker-Renzi per ora è chiuso, in realtà è stato solo aggiornato a marzo (quando la Commissione dovrà pronunciarsi sulla nostra legge di stabilità). Resta comunque un capitolo difficile da decifrare. Gentiloni l’altro giorno ha abbozzato: “in Italia c’è un governo”; eppure non è apparso convincente, perché l’indirizzo del nostro esecutivo lo conoscono anche a Bruxelles ma evidentemente non gli basta. Se oggi nelle stanze felpate dell’Ue il metodo Renzi non piace, è anche vero — spiega il costituzionalista Stelio Mangiameli — che è l’Europa ad essere entrata in crisi e a non sapere come uscirne. Crisi duplice, quindi, aggravata dal fatto che “l’interlocutore”, diciamo pure il garante politico, che c’era prima ora non c’è più. Nessuno finora lo ha nominato, ma è il convitato di pietra di questa vicenda.
Pare che la frattura con l’Ue si sia ricomposta, no?
E’ chiaro che quello che è successo nei giorni scorsi tra Renzi e alcune personalità europee, tra cui Juncker, era destinato in qualche modo a rientrare. Tuttavia, ambedue hanno a che fare con una condizione di crisi: Renzi con la crisi interna e Juncker con la crisi europea. E per entrambi i problemi sono tutt’altro che risolti.
Facciamo un passo indietro. Lo scontro Juncker-Renzi è cominciato venerdì scorso sulla flessibilità, rivendicata dal presidente della Commissione. Chi ha ragione?
Renzi è il vero artefice della flessibilità. Juncker, dopo più di un anno e mezzo, ha prodotto pochissimo in termini di politica europea. Il suo piano anti-crisi è stato ampiamente criticato e considerato insufficiente. Il Regno Unito ha approvato la legge per il referendum sulla permanenza nell’Unione. La Francia per alcuni anni ancora non rispetterà il patto di stabilità e ciò a prescindere dagli attacchi terroristici subiti. La sorveglianza macroeconomica della Commissione fa acqua da tutte le parti e, così, molti governi hanno ripreso una forte autonomia rispetto alle istituzioni europee. La posizione di Renzi si inquadra in questo contesto.
La dichiarazione più dura è arrivata lunedì: “A Roma manca un interlocutore”. E’ sembrato che qualcuno volesse inasprire lo scontro. Cos’è accaduto secondo lei?
Quella dichiarazione era palesemente sopra le righe da parte di Juncker; evidentemente c’è qualcosa che non funziona bene a Bruxelles. Ciò detto, è come se la Commissione avesse invocato un intervento su Renzi da parte italiana.
Che cosa intende dire?
Intendo dire che le parole di Bruxelles si potrebbero leggere come un invito al capo dello Stato a dire qualcosa per sostenere l’Europa e far ravvedere il presidente del Consiglio. Con Napolitano la politica europea aveva in Italia due interlocutori: il presidente della Repubblica e poi il governo. Adesso sembra che non sia più così e ciò pare rafforzare considerevolmente il governo italiano.
E l’attacco di Manfred Weber? “Renzi sta mettendo a repentaglio la credibilità europea a vantaggio del populismo”. Lo ha detto a proposito dei migranti. Un’uscita dura, laterale e quasi fuori tempo, proprio mentre Juncker abbassava i toni. Perché?
Weber è il capogruppo del Ppe, lo stesso partito che ha candidato e sostenuto Juncker, ed è tedesco. Non si tratta di difendere Renzi ad ogni costo, anche perché nella politica italiana verso l’Europa vi sono gli stessi difetti che c’erano prima, ad esempio con Berlusconi, e che sembravano venuti meno durante la Commissione Prodi. Anche se, in realtà, persino con Prodi alla Commissione l’Italia non aveva una strategia per l’Europa.
Renzi ha detto che l’Italia oggi è più temuta perché è più forte. Non vede invece il rischio che venga commissariata come accadde nel 2011 con Monti?
No, non rischiamo un nuovo 2011 perché in Europa regna una certa confusione su come condurre il sistema europeo. Ma non è l’Italia ad essere più forte, è l’Europa ad essere entrata in crisi e a non sapere come uscirne.
Quindi anche l’Ue ha i suoi problemi. Quali innanzitutto?
Oggi il personale politico europeo è incomparabilmente inferiore a quello del passato, quando figure come Walter Hallstein o Jacques Delors guidavano la Commissione europea. Juncker, lussemburghese, si sta rivelando più fragile di Barroso e la ragione è evidente: ci si ostina a dare le cariche più importanti delle istituzioni europee a personale politico con esperienza in piccoli Stati e senza un appeal realmente internazionale. Il problema politico si accompagna poi a un disegno istituzionale estremamente fragile.
Si riferisce al Trattato di Lisbona?
Sì. L’Europa di Lisbona appare più prossima al Congresso di Vienna del 1814 che non alla Comunità europea dell’Atto unico europeo del 1986. E’ gioco forza che le cancellerie degli Stati europei, e la Merkel in particolare, siano più forti delle istituzioni europee.
Durante lo scontro Renzi-Juncker tutti i problemi aperti hanno acuito le tensioni, anche se è difficile individuare quello decisivo: i migranti, la flessibilità, il peso del nostro debito, la legge sulle banche, la legge di stabilità…
Nessuno di questi e tutti questi insieme. Sui migranti l’Europa e i Paesi del nord, compresa la Germania, hanno fatto una figuraccia, generando un caos e concludendo con la chiusura delle frontiere, l’innalzamento di muri e la sospensione del trattato di Schengen. L’Italia ha soccorso tutti e prevalentemente da sola; quanto meno il nostro senso di umanità è stato palese. Si fa presto, poi, a dire che non rispettiamo gli accordi perché non procediamo all’identificazione. In realtà, solo in questo modo si è giunti a riconsiderare l’accordo di Dublino sul vincolo del paese di arrivo e a porre le condizioni sulla ricollocazione dei migranti.
Il nostro debito pubblico?
E’ un vero problema per noi, a prescindere dall’Europa e investe direttamente il rapporto tra le generazioni. Il debito erode il futuro del Paese e dei giovani. Per questa ragione la legge di stabilità, che sarà scambiata dall’Europa per qualcos’altro, è problematica: il deficit di quest’anno diventerà maggior debito il prossimo anno.
Le banche?
Sulle banche il nostro comportamento è stato alquanto ingenuo, l’opposto della Germania, che prima ha risanato le sue banche con i soldi pubblici — leggi: aiuti di stato —, poi ha brigato per fare approvare il bail in e ora vuole che l’Europa lo imponga all’Italia. Questo la dice lungo sull’incapacità italiana di stare in Europa.
Alla luce dei fatti, quali sono gli spazi d’azione di Renzi?
Se riesce a risolvere i problemi interni che lo assillano, come le elezioni amministrative e il referendum confermativo della riforma costituzionale, in Europa potrebbe fare la differenza. Ma deve proporre soluzioni che facciano fare dei passi in avanti all’Ue per uscire dalla crisi.
Quali per esempio?
Dovrebbe proporre le riforme di cui tutti ormai parlano da tempo, come il rafforzamento del Parlamento europeo, l’unificazione del procedimento legislativo europeo, la creazione di un bilancio europeo con risorse proprie dell’Unione, la realizzazione di una politica estera europea e un esercito comune, la riduzione realmente al minimo del metodo intergovernativo, e altro.
Niente, insomma. Queste riforme sono state previste nel 2013, ma per realizzarle dopo il 2020. Adesso sono state posposte a dopo il 2025. Ma soprattutto, sono le riforme di uno stato forte…
Sono le riforme che farebbero dell’Ue uno Stato federale, in grado di competere nel G8 e di essere un’alternativa agli Stati Uniti. Dopo il 2020 solo la Germania farà parte del G8 e nel 2050 neppure la Germania sarà nel G8. A Renzi converrebbe far anticipare le riforme e imporle subito. Salverebbe l’Europa e l’Italia. Anche perché Renzi ha detto che nel 2025 non sarà più sulla scena politica…
Lei ha detto che siamo in Europa senza una strategia. Da dove cominciare?
In Europa bisogna seguire il metodo europeo, che è quello diplomatico. I vantaggi si ottengono procedendo in due differenti modi. Innanzi tutto, riempendo gli apparati di Bruxelles di propri funzionari ben preparati in diritto europeo e in grado di parlare correttamente inglese, francese e, possibilmente, anche tedesco. Il potere di uno Stato membro dipende da quante direzioni generali riesce ad occupare. I governi italiani non hanno mai fatto una politica degli apparati europei ed è un vero disastro perché i funzionari europei, che dovrebbero essere al servizio dell’Europa, in realtà fanno lobbying nazionale. Quindi l’Italia è sempre stata in svantaggio e ha subito nel tempo la preponderanza francese, inglese e ora tedesca.
E l’altro modo?
In secondo luogo, occorre agire in anticipo per la tutela degli interessi nazionali con una attività di negoziazione, pre-negoziazione e, ancora prima, di iniziativa. Per fare ciò è necessario avere una chiara visione dei propri interessi nazionali, che noi siamo sempre stati incapaci di esprimere.
(Federico Ferraù)