Il Movimento 5 Stelle aveva fatto la promessa di fermare la Tav e per ora intende mantenerla. La linea ad alta velocità Torino-Lione è il nuovo caso che divide il governo: da una parte la Lega, con Salvini che è per ultimare l’opera (costo 3 miliardi, secondo i dati forniti ieri da Repubblica), dall’altra i 5 Stelle, che vogliono sfilarsi, a costo di pagare una penale da 2 miliardi. Conte per ora prende tempo, dice che il dossier non è ancora sul tavolo del governo. “Sarebbe gravissimo non finire la Tav” dice l’economista Giulio Sapelli. Andrebbe fatta, dice il professore, che però è pessimista è fa un pronostico: non si farà.
Perché sarebbe grave non ultimarla?
Non tanto per gli impegni europei, ma per il rapporto costi-benefici e per la nostra tradizione ingegneristica. Un’opera del genere ha anche e forse soprattutto un valore simbolico, che non va mai dimenticato.
Un valore simbolico?
Sì. La Tav è un indubbio progresso. L’idea di progresso invece è finita. Lo scriveva già negli anni 90 Christopher Lasch. Non parlo dell’idolatria delle macchine, dell’ideologia del progresso come totem positivistico, ma dell’idea che la scienza e la tecnica possano migliorare la vita degli uomini, producendo beni che sono utili a tutti.
E invece?
Le nuove generazioni sono state cresciute nell’odio contro il lavoro manuale e contro il progresso scalare fondato su scienza e tecnica. Oggi c’è chi dice che i vaccini devono essere volontari.
C’è un’opinione pubblica no Tav, fatta di gente locale e di movimenti antagonisti, che ha attraversato diversi governi e ha sicuramente dato molti voti anche a M5s. E’ un’avversione che non deriva certamente da un calcolo costi-benefici.
No, e per favore lasciamo stare i “populismi”. Non c’entrano nulla. E’ una cultura fondata sulla distorsione della realtà e sull’ignoranza che andrebbe prima compresa e poi smontata. Cognitivamente e simbolicamente.
Andrebbe compresa, lei dice. Per quale motivo?
Perché se prima non si costruisce il consenso delle popolazioni locali le infrastrutture è difficile farle.
Senza tunnel tutto il traffico sarà su gomma.
Già questo fa capire che negli oppositori non c’è un intendimento razionale. Ma chi semina vento raccoglie tempesta. Non c’è una forza che non abbia strizzato l’occhio a questa sottocultura. In questi vent’anni tutti hanno seminato un atteggiamento culturale antiscientifico, le infrastrutture sono divenute il male, l’effetto Nimby è generalizzato. E’ arrivata l’ora del redde rationem e ce n’è per tutti, destra, sinistra, centro.
Ci spieghi meglio, professore.
E’ la questione di Böckenförde: il liberismo non ha una morale che lo sostiene perché non ha un morale dell’obbligazione. Il risultato è che ha distrutto l’idea di bene comune, i sacrifici necessari per costruirlo sono banditi. Se l’educazione fin da bambini è solo divertimento, rimozione degli ostacoli, quelle persone, da adulte, che siano esse dei centri sociali o dell’alta borghesia torinese, non vorranno mai la Tav. Uno strano cortocircuito tra cultura dei soli diritti e green economy.
M5s e Lega troveranno il modo di uscire dall’impasse?
Credo di no, purtroppo.
E che soluzione troveranno?
La Tav non si farà. Io vorrei vederla realizzata, ma temo che non sarà così. Conte tenterà di mediare, tutti diventeranno dorotei, anzi morotei e si troverà una convergenza parallela per cui la Tav alla fine non si fa.
Pare che qualcuno nel governo metta in discussione anche il Tap, il gasdotto proveniente dall’Azerbaijan. La penale costerebbe tra i 30 e i 70 miliardi. Ma Mattarella a Baku ha detto che si farà nei tempi previsti.
Questa è una cosa ancora più grave, perché non siamo in una repubblica presidenziale. Vuol dire che la sindrome monarchica di Napoletano ha contagiato anche Mattarella. Di quel problema dovevano occuparsi Moavero e Di Maio, non Mattarella. Se Mattarella vuole essere a capo di una repubblica presidenziale, si dimetta, si candidi alle elezioni, si faccia eleggere e combatta per averla, ma non eserciti le prerogative del presidente francese indebitamente.
(Federico Ferraù)