Data l’attuale crisi, la politica più adatta sarebbe la liberalizzazione dell’economia a tutti i livelli per consentire il rapido riallocamento dei fattori produttivi nei settori redditizi.
La grave crisi finanziaria e la conseguente recessione economica in tutto il mondo, che abbiamo previsto da anni, stanno alla fine liberando tutta la loro furia. Infatti, la politica avventata di espansione artificiale del credito, consentita e orchestrata durante gli ultimi quindici anni dalle banche centrali (guidate dalla Federal Reserve americana), non poteva concludersi in nessun altro modo.
Stranamente, come durante gli anni “ruggenti” prima della Grande Depressione del 1929, lo choc della crescita monetaria non ha influenzato significativamente i prezzi dei beni e dei servizi al livello del consumatore finale. Il decennio appena trascorso, come gli anni ‘20, ha visto un notevole aumento nella produzione come conseguenza dell’introduzione su vasta scala di nuove tecnologie e innovazioni imprenditoriali significative che, se non fosse per la “baldoria del credito e dei soldi”, avrebbero provocato una sana e sostenuta riduzione continua del prezzo di unità di beni e di servizi che tutti i cittadini consumano. L’assenza di questa sana “deflazione” fornisce la prova principale che lo choc monetario ha disturbato seriamente il processo economico.
La teoria economica ci insegna che, purtroppo, l’espansione artificiale del credito e l’inflazione (fiduciaria) dei mezzi di scambio non offre nessuna scorciatoia per uno stabile e continuo sviluppo economico, nessun modo di evitare il sacrificio e la disciplina necessari a ogni risparmio volontario.
Oggi non ci sono dubbi sulle conseguenze recessive che lo choc monetario comporta sempre a lungo termine: i prestiti di soldi che i cittadini non hanno prima risparmiato forniscono agli imprenditori potere d’acquisto che utilizzano in progetti di investimento eccessivamente ambiziosi. Cioè gli imprenditori si comportano come se i cittadini avessero aumentato il loro risparmio, cosa che in realtà non è avvenuta.
Il risultato è una disorganizzazione diffusa nel sistema economico: la bolla finanziaria (“esuberanza irrazionale”) esercita un effetto nocivo sull’economia reale e prima o poi il processo si inverte sotto forma di una recessione economica, che segna l’inizio del riaggiustamento doloroso e necessario. Questo riaggiustamento richiede invariabilmente la riconversione dell’intera struttura produttiva reale, che l’inflazione ha distorto.
Attualmente, numerose voci interessate stanno richiedendo ulteriori riduzioni dei tassi di interesse e nuove iniezioni di liquidità, per permettere a coloro che lo desiderano di completare i loro progetti di investimento senza soffrire perdite.
Tuttavia, questo “volo nel futuro” posporrebbe soltanto temporaneamente i problemi, con il costo di renderli successivamente molto più gravi. La crisi ha colpito perché i profitti delle aziende dei beni capitale (particolarmente nel settore delle costruzioni e nello sviluppo immobiliare) sono scomparsi a causa di errori imprenditoriali provocati da un credito a basso costo e perché i prezzi dei beni di consumo hanno cominciato ad aumentare più velocemente di quelli dei beni di investimento.
L’analisi economica più rigorosa e la più fredda ed equilibrata interpretazione degli eventi economici e finanziari recenti portano inesorabilmente alla conclusione che le banche centrali (che sono in effetti agenzie monetarie di pianificazione centrale) non sono in grado di trovare la più conveniente politica monetaria in ogni dato momento. Questo è esattamente ciò che è diventato evidente nel caso dei tentativi falliti di pianificare dall’alto l’economia ex-sovietica.
Per metterla in un altro modo, il teorema dell’impossibilità economica del socialismo, scoperta dagli economisti austriaci Ludwig von Mises e Friedrich A. Hayek, è completamente applicabile alle banche centrali in generale. Secondo questo teorema, è impossibile organizzare una società, in termini di economia, basata sugli ordini coercitivi emessi da un ente per la pianificazione, poiché esso non potrà mai ottenere le informazioni necessarie per impartire i suoi ordini in modo coordinato.
Effettivamente, niente è più pericoloso dell’indulgere nella “presunzione mortale” – per usare un’utile espressione di Hayek – di credersi così onnisciente o almeno così saggio e potente da poter esercitare sempre la più adatta politica monetaria senza errori. Quindi, piuttosto che ammorbidire gli alti e bassi più violenti del ciclo economico, la Federal Reserve e, in misura inferiore la Banca Centrale Europea, molto probabilmente sono state le principali colpevoli del loro peggioramento.
La reintroduzione di una politica di credito a buon mercato in questa fase può soltanto ostacolare la necessaria liquidazione degli investimenti non redditizi e la riconversione delle aziende. Potrebbe persino avvitarsi prolungando la recessione indefinitamente, come accadde nell’economia giapponese, che, dopo che furono provati tutti gli interventi possibili, cessò di rispondere a ogni stimolo che coinvolgesse l’espansione del credito o i metodi keynesiani.
In queste circostanze, la politica più adatta sarebbe di liberalizzare l’economia a tutti i livelli (particolarmente nel mercato del lavoro) per consentire il rapido riallocamento dei fattori produttivi (specialmente la forza lavoro) nei settori redditizi. Inoltre, è essenziale ridurre la spesa pubblica e le tasse, per aumentare il reddito disponibile degli operatori economici pesantemente indebitati che devono rimborsare appena possibile i loro prestiti.
Gli operatori economici in generale e le aziende in particolare possono risanare le loro finanze soltanto riducendo i costi (in particolare quelli della manodopera) e pagando i loro debiti. Essenziale a questo scopo sono un mercato del lavoro molto flessibile e un settore pubblico molto più austero.
Questi fattori sono fondamentali perché il mercato possa rivelare il più rapidamente possibile il valore reale dei beni di investimento prodotti erroneamente e gettare così le basi per una sana e costante ripresa della economia in un futuro che, per il bene di tutti, speriamo non troppo lontano.