«Una riduzione del debito con questo governo è impossibile perché Renzi ha fatto un patto col Demonio. La cultura del posto fisso, delle mance elettorali e del populismo parasociale impedisce di rimettere in sesto i conti pubblici italiani, con effetti molto dannosi sul settore privato». È la denuncia del professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie. Nel suo ultimo bollettino la Banca centrale europea ha ammonito l’Italia che “occorrono ulteriori sforzi di risanamento per condurre stabilmente il rapporto debito pubblico/Pil su un percorso discendente. I Paesi con alti livelli di indebitamento sono particolarmente vulnerabili a un rialzo dell’instabilità nei mercati finanziari, per il nesso ancora forte tra conti pubblici e settore finanziario”.
Professore, quanto va preso sul serio il monito della Bce sul debito pubblico italiano?
Il problema principale è il corto circuito tra l’alto debito e il fatto che il sistema bancario nazionale ha acquisito debito a elevato rischio di perdita di valore. In questo modo il rischio del debito pubblico si riversa sull’economia privata finendo per contaminarla. Se il debito pubblico italiano non fosse così elevato, le autorità europee non sarebbero così severe con le nostre banche esigendo parametri elevati e stress test rigorosi. Questi ultimi nascono dal timore di rischi per il nostro debito.
Renzi ha reiterato nei confronti dell’Ue le richieste di flessibilità sui conti pubblici. È la strada giusta?
Le richieste di flessibilità di Renzi sono estremamente pericolose. Da un lato infatti impediscono al debito di scendere, dall’altra rendono più difficile la soluzione dei problemi bancari. Nei confronti di Paesi come l’Italia che hanno un rischio simile alla Grecia, l’Ue diventa dunque più severa ed esigente. In questo modo il governo perde credibilità a livello europeo e la stessa Bce si trova in difficoltà nell’attuare la sua politica di espansione. È per questa ragione che è necessario attuare una manovra strutturale di riduzione del deficit, che non si limiti a espedienti come la vendita di una quota di Poste Italiane.
In che modo è possibile ridurre il debito pubblico dell’Italia?
Sarebbe necessario evitare di fare spese pazze come quelle che sono state messe in atto per fare funzionare il contratto a tutele crescenti. Da questo punto di vista Renzi ha stretto un patto con il Demonio, cioè con la cultura di sinistra del suo partito ancorata all’idea del posto fisso e al rifiuto di qualsiasi riferimento alla produttività.
Perché Renzi non riesce a sganciarsi da questi modelli ormai superati?
Perché è su questo populismo parasociale che si regge il voto della sinistra. Lo documenta anche il fatto che da un lato Renzi distribuisce bonus e mance, dall’altro il resto del Pd ha bisogno di tenere buona la sua componente tradizionale basata sulle rendite di lavoratori iper-tutelati nel settore pubblico e parapubblico. Il contenimento della spesa pubblica sarebbe essenziale, mentre quest’ultima continua ad aumentare come pure gli esoneri fiscali.
Il governo ha annunciato che intende tagliare le tasse in deficit. Come valuta questa scelta?
Sarebbe condivisibile se si tagliassero le tasse che realmente ostacolano la ripresa. Quelle su cui occorrerebbe intervenire sono le imposte sugli immobili, senza limitarsi a quella sulla prima casa la cui abolizione ha avuto un effetto molto limitato.
Per quale motivo?
L’imposta sulla prima casa, prima di essere abolita, raccoglieva 3,3 miliardi con 18 milioni di contribuenti. Tutte le altre imposte immobiliari invece raccolgono 20/22 miliardi con circa 5 milioni di contribuenti. Le aliquote più pesanti dunque sono quelle sulla seconda casa, che hanno generato un’enorme crisi del mercato immobiliare nelle aree di sviluppo turistico e sofferenze bancarie sterminate. A essere particolarmente colpite sono le case in affitto per usi diversi da quelli abitativi.
Quali sono le conseguenze sul piano degli investimenti?
L’attuale metodo di tassazione sugli immobili, che si somma all’elevata imposta personale sul reddito, impedisce gli investimenti immobiliari. Il fatto che queste tasse siano state almeno raddoppiate ha generato la crisi del mercato immobiliare. D’altra parte l’aliquota marginale induce a portare gli investimenti all’estero e a fare elusione fiscale, colpendo soltanto ristrette categorie di ceto medio. Il suo taglio produrrebbe però una limitata riduzione immediata del gettito, perché i contribuenti oltre i 100mila euro sono pochi.
(Pietro Vernizzi)